mercoledì 30 settembre 2009

Coltan: la guerra in Congo per i nostri cellulari

Il Coltan vale più dell'oro. Meglio chiamata columbo-tantalite, è un minerale indispensabile per far funzionare apparecchiature elettroniche come i telefoni cellulari che abbiamo in tasca o la Play Station. Ed è anche la principale causa di una guerra decennale che ancora oggi si combatte in Congo. Quest'estate sono ripresi gli scontri nella provincia del Kivu del Sud, situata nell'est del Paese. Secondo l'agenzia dell'Onu per i rifugiati (l'Unhcr), gli scontri tra le forze governative e i ribelli hutu ruandesi da gennaio a luglio di quest'anno hanno costretto 536 mila profughi del Kivu del sud a scappare. Omicidi, rapimenti, stupri, torture e detenzioni arbitrarie sono i comuni casi di violazioni dei diritti umani riportati dall'Internal displacement monitoring centre (Idmc) nella regione, tutte violenze e torture subite dai profughi e compiute dai combattenti ribelli appartenenti alle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr). I soldati dell'esercito governativo però non sono da meno: anche loro non si fanno scrupolo di compiere violenze sui civili. Nel Congo orientale si contano attualmente più di 1,8 milioni di profughi causati dai combattimenti e dalle violenze.

Questa guerra infinita che ha provocato 4 milioni di morti e sta devastando il Paese, però, non è un caso. Forse non è scoppiata veramente a causa dei ribelli politici o di "odi tribali" tra Hutu e Tutsi, ma semplicemente dall'avidità di due finti contendenti che si spartiscono il bottino. L'ong londinese Global Witness, infatti, denuncia gli affari che le due fazioni in lotta stipulano quando si tratta di spartirsi i territori e le ricchezze derivanti dal commercio illegale delle risorse naturali: essi gestiscono di fatto il mercato minerario dello Stato.

La guerra interessa anche due Stati confinanti, Rwanda e Uganda: gli intermediari che trattano la vendita del Coltan in questi due Paesi si approvigionerebbero, infatti, dai giacimenti minerari congolesi. Ad esempio, dietro alla supposta necessità di difendere la minoranza Tutsi dei Banyamulenge sostenuta da Nkunda, ci sarebbero gli interessi del Ruanda. «Non c'era nessuna esigenza di proteggere un gruppo, quello dei Tutsi Banyamulenge, abbastanza integrato nella società congolese. Nessuno ha interesse ad attaccare i tutsi, ma adesso, dopo le provocazioni del generale Nkunda e del suo gruppo armato, il rischio più grosso è che la minoranza attiri su di sé, incolpevole, l'odio della popolazione - ha affermato Chiara Castellani, chirurgo che vive in Congo da diciotto anni - La vera ragione di questa guerra va ricercata nella difesa degli interessi delle multinazionali. Una difesa sponsorizzata anche dal presidente ruandese Paul Kagame, che riceve il suo tornaconto».

Tuttavia, il fatto che gruppi armati o comunque non rappresentanti società statali e industrie, si impossessino del minerale e lo vendano con grossi introiti ad acquirenti principalmente occidentali e asiatici non costituisce di per sé un reato in nessuno dei tre Stati interessati, rendendo più controversa la situazione.

Il rapporto Global Witness intitolato ''Di fronte a un fucile che si può fare? Guerra e militarizzazione delle miniere del Congo orientale'' denuncia proprio la presenza delle multinazionali asiatiche ed europee a muovere i fili di questa guerra. Le parti in lotta controllano vaste aree minerarie e sono finanziate principalmente da compagnie estrattive come la thailandese Thaisarco-Amc, l'inglese Afrimex e le belghe Trademet e Traxys. Anche aziende russe, cinesi e indiane sarebbero coinvolte nel commercio illegale delle risorse minerarie nella ex colonia belga. I Governi degli Stati nei quali hanno sede queste compagnie si rifiutano di adottare misure rigorose nei loro confronti, contrastando così gli sforzi della diplomazia per la pace nella Repubblica Democratica del Congo. Le imprese multinazionali negano e non vogliono collaborare con Global Witness alla stesura del rapporto, mentre la Thaisarco-Amc afferma di disapprovare l'indagine per il ''numero di imprecisioni e omissioni contenute''.

In Congo si trova l'80 % del Coltan mondiale, i congolesi che lavorano all'estrazione del minerale vengono pagati 200 dollari al mese dalle multinazionali, quando la paga di un normale lavoratore in Congo è di 10 dollari al mese, ma è radioattivo perché contiene uranio: provoca tumori e impotenza sessuale e viene estratto dai minatori a mani nude.

Nelle miniere si estraggono anche oro, uranio, cobalto, cassiterite e wolframite. E la guerra, guarda caso, scoppia dove si estraggono le materie prime più ricercate.

Scudo fiscale, la Camera verso il sì, troppi assenti vip nell'opposizione

Il dodicesimo condono fiscale è quasi legge. Entro 24 ore ci sarà il voto di fiducia alla Camera per l’approvazione dello scudo fiscale, che non sembra destinato a incontrare grandi ostacoli. Le tre questioni pregiudiziali di costituzionalità al decreto legge correttivo del pacchetto anticrisi, sollevate dall’opposizione (che aveva promesso battaglia), sono state bocciate dall’aula con 27 voti di scarto. Tra gli assenti illustri, che avrebbero potuto affondare in maniera inappellabile il decreto (e quindi lo scudo), Massimo D’Alema, Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, Francesco Rutelli (oltre a Massimo Calearo, Cesare Damiano, Ermete Realacci). Assenti in tutto 51 esponenti del Pd, due dell’Idv, sei dell’Udc, ovvero i tre partiti di opposizione. Il presidente della Repubblica, pur con qualche dubbio, ha fatto capire di essere propenso a firmare. Anche grazie all’assenza nel decreto legge di sanatorie per processi penali in corso.

L’Italia dei Valori chiede a Giorgio Napolitano di “riflettere bene, dal momento che di fatto si tratta di un’amnistia e che lo scudo è la dimostrazione del favoreggiamento e della correità del governo con gli evasori, con i corruttori, con la criminalità organizzata”. Il provvedimento, infatti, permetterà il ritorno in Italia di denaro illegalmente detenuto all’estero. Quanti soldi rientreranno? Visto che si tratta di capitali illeciti esportati di nascosto nei paradisi fiscali, è difficile stilare una stima attendibile.

Per una coincidenza politicamente molto opportuna, proprio ieri, mentre si preparava il voto di fiducia, è stato reso noto un dato della Guardia di Finanza che parla di un tesoretto oltre confine di 300 miliardi di euro. Se questi soldi rientrassero tutti (e se il calcolo fosse accurato), lo Stato incasserebbe 15 miliardi di euro, dato che il costo del rimpatrio è pari al 5 per cento. Ma, fino a pochi giorni fa, anche i più ottimisti nel governo speravano in un flusso di 100 miliardi, con un gettito che quindi potrebbe essere di soli 5 miliardi. Per il capogruppo Pd alla Camera Antonello Soro “saranno molti di più i capitali che usciranno, perchè il condono genera un sentimento di impunità”.

Lo scudo coprirà anche il reato di falso in bilancio, se commesso per evadere il fisco. Il leader dell’Udc Pierferdinando Casini dice che lo scudo è “inaccettabile, anche perchè non si stabilisce che i soldi rientrati, frutto di truffe pagate dai risparmiatori, restino poi in Italia”. L’assessore regionale al Lavoro della Campania Corrado Gabriele sostiene che “la maggior parte dei soldi che stanno rientrando sono di provenienza illecita e tra questi c'é anche il denaro del clan dei casalesi, Iovine e Zagaria, che dalla latitanza perpetua ringraziano. Si tratta di un vero e proprio favore alla mafia”.

Su questo interviene in aula proprio il ministro Giulio Tremonti: “I capitali della criminalità non saranno rimpatriati” così come i soldi oggetto di “fatti nuovi”, cioè esportati dopo i termini previsti dallo scudo. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha scelto invece di non entrare nel merito politico della vicenda: non ha risposto ai deputati del Pd che sollevavano il problema del mancato obbligo di segnalazione da parte degli intermediari (che serve a garantire l’anonimato a chi usa lo scudo). Alla fine l’unico atto che la Camera ha approvato ieri, con 280 voti favorevoli e 231 contrari, è stata la sospensione anticipata della discussione, su richiesta del Pdl.

(da Il Fatto Quotidiano n°7 del 30 settembre 2009)

Fonte: l'Antefatto

'Report si è conquistato anche la tutela legale. Ma che stress lavorare così'

Milena Gabanelli è alle prese con il montaggio della prima puntata di Report, l’11 ottobre: un’inchiesta sulla burocrazia. Solo due giorni fa ha ottenuto il mantenimento della tutela legale da parte della Rai, messa in discussione dal direttore generale, Mauro Masi. In una lettera al Corriere della Sera di ieri, la giornalista ha segnalato quanto le cause legali siano una pressione sulla libertà d’informazione. Un intervento nel dibattito lanciato da Luigi Ferrarella sul pagamento di sanzioni a chi perde le «liti temerarie» e chiede milioni di euro di risarcimento. Gabanelli denuncia il «comportamento intimidatorio», strisciante, soprattutto per gli editori meno solidi. «Ad oggi le cause pendenti sulla mia testa sono una trentina, è facile capire come che alla fine una pressione del genere può essere ben più potente di quella dei politici, e diventare fisicamente insostenibile». Tutto ciò perché «non esiste uno strumento di tutela»: a chi ha «il portafoglio gonfio» conviene fare una causa civile chiedendo tanti soldi, perché rischia di pagare solo l’avvocato. E perché non adottare il modello anglosassone? Il giudice può dire: “Chiedi dieci milioni di risarcimento per niente? Rischi di doverne pagare 20”». «Sarebbe il primo passo verso una libertà tutelata prima di tutto dal diritto».

Difficile lavorare nell’incertezza.
«Questa eventualità ha sottratto attenzione al mio lavoro. Due giorni fa ho ricevuto dalla Rai la garanzia sulla tutela legale. Su questo la direzione di RaiTre ha fatto una battaglia, perché il giornalismo d’inchiesta è rischioso ma è un dovere del servizio pubblico. L’equivoco ruotava attorno al fatto che Report è una trasmissione che non utilizza un metodo produttivo classico».

Perché?
«Dall’inizio la scelta è stata quella di lavorare con un gruppo di giornalisti esterni che vendono il loro prodotto alla Rai. Ma la linea editoriale è condivisa e supervisionata dalla direzione di rete. È stato scelto questo metodo produttivo perché permette di avere avere costi molto bassi, fino al 40% in meno rispetto al metodo tradizionale».

Come mai quest’anno la tutela è stata messa in discussione?
«Non lo so, immagino che sia stato un equivoco, che nessuno sapesse bene che il programma è organizzato così da 13 anni, che il gruppo di lavoro è sempre lo stesso, ma nessuno è contrattualizzato, altrimenti la difesa sarebbe automatica. Ripeto, è stata una scelta conveniente perché permette di investire buona parte del budget nel prodotto».

Era preoccupata per la redazione?
«Certamente, perché io ho un contratto di esclusiva annuale che mi tutela, loro invece vendono i servizi che sono stati prima discussi con la direzione di rete e poi assegnati. L’eventualità che loro perdessero la tutela legale, dopo aver dimostrato negli anni una straordinaria scrupolosità e professionalità, mi aveva angosciato».

Qual è la media di ascolti per Report?
«Circa il 14% di share, supera di tre punti le aspettative della rete».

Fonte: L'Unità

Uganda, sedici bambini al giorno subiscono abusi


Ben sedici bambini ugandesi, ogni giorno, sono rimasti vittime di abusi sessuali nei primi sei mesi dell’anno. Secondo la relazione della rete africana “Child Abuse and Neglect (ANPPCAN)” in Uganda, tra gennaio e giugno 2009, 9.480 bambini hanno subito abusi.

La relazione si basa in gran parte su informazioni della polizia, di ANPPCAN e dei mass media. La ricerca è volta a individuare la natura e l’entità di abusi sui bambini in Uganda e suggerisce le questioni più critiche su cui concentrare tutte le forze, locali e internazionali.

Anselmo Wandega, il coordinatore nazionale per la ricerca, informazione e sensibilizzazione ha detto che “il fenomeno degli abusi sui minori continua a privare i bambini dei loro diritti. Nonostante i vari interventi e la miriade di operatori, il numero di bambini sottoposti ad abusi è ancora inaccettabilmente elevata “.

Wandega denuncia anche l’aumento dei casi di povertà assoluta e di un lassismo da parte del sistema locale per proteggere i bambini. “Nei casi che abbiamo ricevuto le comunità hanno cercato di risolvere la questione degli abusi fuori dai tribunali attraverso accordi non scritti con l’autore del reato.”

Fonte: Periodico italiano

martedì 29 settembre 2009

Cucù cucù e a Napoli torna l'emergenza spazzatura. Il punto con Michele Buonuomo


«L' emergenza rifiuti è finita e la scommessa è vinta, la città è pulita. Le strade sono sgombre dalla spazzatura, l' arretrato è smaltito. Riecco Napoli, finalmente : bella e possibile. E soprattutto pulita». Le parole pronunciate il 18 luglio del 2008 dal premier Silvio Berlusconi che annunciava la fine dell'incubo della crisi dei rifiuti a Napoli hanno avuto vita breve.

A distanza di poco più di un anno e a pochi mesi dalla fine del commissariamento (a novembre smobiliteranno gli uffici civili e a fine anno anche i militari) a Napoli si preannuncia di nuovo un autunno caldo. A partire dai problemi contingenti innescati dalle proteste dei circa 2000 lavoratori che rischiano il posto e che hanno incrociato le braccia mandando in tilt di nuovo la città partenopea.
Che si è fatto in questo anno? Lo abbiamo chiesto a Michele Buonuomo, presidente della Legambiente Campania.

«Sono state aperte le discariche già individuate e si è fatto partire l'inceneritore di Acerra, ma di tutto quello che sta in mezzo per poter avviare un ciclo integrato non c'è traccia. Il risultato è che al di là dei problemi contingenti di questi giorni che a seguito delle proteste dei lavoratori che rischiano il posto hanno causato ritardi nelle raccolte dei rifiuti per strada, si prospetta una situazione di nuova crisi emergenziale all'inizio dell'anno prossimo. E dato che a marzo ci saranno le elezioni amministrative si presenta come il cacio sui maccheroni».

Le discariche che capacità hanno ancora?
«Chiaiano ha un anno e mezzo di vita. Sant'Arcangelo è in via di esaurimento e attualmente il grosso, circa 1400 tonnellate al giorno, vanno nella discarica di Terzigno, quella dentro al parco che doveva durare diversi anni e che a questi ritmi si esaurirà nel giro di poco tempo».

E gli altri impianti?
«E' stato aperto l'impianto di Acerra che funziona per poche quantità. Dell'impianto di Salerno, che doveva essere realizzato in tempi rapidissimi non se ne sa più niente e la provincia dovrà dotarsi di una discarica per le 200mila tonnellate di indifferenziato. Ma soprattutto non è stato fatto niente nel mezzo, a partire dagli impianti di compostaggio. Ne sono previsti due: uno a Salerno e uno a Eboli ma nelle altre province siamo ancora in ritardo. E i comuni sono costretti a spendere cifre paradossali per portare la frazione organica nelle altre regioni. Questo tra l'altro sta determinando rischi per le raccolte differenziate, che già in alcuni comuni stanno regredendo».

E la trasformazione degli impianti di Cdr a che punto è?
«Anche quella che sarebbe stata la soluzione più veloce in realtà non è ancora avvenuta. La Regione aveva anche messo a disposizione 100 milioni di euro per trasformare quegli impianti ma poi i soldi sono stati destinati ad altri capitoli di bilancio»

Insomma il commissariamento ha fatto di nuovo un buco nell'acqua?
«Purtroppo questa è la realtà. I problemi strutturali rimangono ancora tutti irrisolti e adesso si aggiungono anche quelli contingenti che fanno parte comunque di un problema più generale.
La protesta dei lavoratori è per il mancato passaggio di molti di loro dai consorzi di bacino alle società provinciali che sostituiscono i consorzi stessi, lavoratori che oggi rischiano quindi il posto ma c'è comunque un problema di esubero di addetti che andrà affrontato. Lo ricordava anche l'assessore regionale Walter Ganapini intervenuto a Napoli alla giornata di Puliamo il mondo che a fronte degli oltre 20mila addetti attualmente in dotazione, nella fase a regime saranno necessari non più di 9500. Anche questo è un problema che andrà affrontato e non è certo di poco conto».


Fonte: Greenreport.it

La crisi che non c'è: in un anno un milione di disoccupati in più


Sarà il pessimismo della sinistra che ha alimentato la sfiducia. Però le cifre non si accontentano delle esortazioni all'ottimismo. Sono quasi un milione (984.286) le domande di disoccupazione liquidate dall'Inps in un anno, tra l'inizio di agosto 2008 e la fine di luglio 2009, con un incremento del 52,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

È quanto emerge dalla relazione del presidente e commissario straordinario dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, in occasione della presentazione dell'attività e dei risultati dell'Istituto di previdenza ad un anno dalla sua nomina. Dal primo settembre 2008 al 31 agosto 2009, le ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni hanno superato quota 615,5 milioni (615.554.896) mettendo a segno un aumento complessivo del 222,3%, rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente. Nel totale la cassa integrazione ordinaria ha registrato un incremento del 409,4% (408.919.363 ore), mentre la cassa integrazione straordinaria è balzata dell'86,7%, a 206.635.533 ore.

«La sfavorevole congiuntura economica che il Paese ha dovuto affrontare in questi mesi - si legge nella relazione - ha riversato sulle casse e sugli uffici dell'Inps la responsabilità di sostenere i lavoratori in difficoltà. Le ore autorizzate per i trattamenti di integrazione salariale hanno subito un massiccio incremento».

Sono stati pari a oltre 1,5 miliardi di euro i contributi recuperati dalla lotta al lavoro nero. L'aumento rispetto all'anno precedente è significativo: 24,53 milioni di euro raccolti in più. La riforma dell'istituto previdenziale, inoltre, ha consentito una razionalizzazione dei tempi di erogazione delle invalidità civili: grazie al fascicolo elettronico, l'Istituto stima di abbassare i tempi di erogazione da 345 a 120 giorni, accertando così la data di visita per i richiedenti. Il risparmio stimato sarà di circa 100 milioni di euro.

Fonte: L'Unità

Auguri presidente


Oggi Berlusconi compie 73 anni. Speriamo che sia il suo ultimo compleanno.


Aggredite donne di colore a Roma e Padova

Ancora manifestazioni violente di stampo razzista, ancora aggressioni nei confronti di persone ritenute 'diverse' solo per il colore della loro pelle.
Questa mattina a Roma, intorno alle 7.40, una donna di origine nigeriana è stata insultata e schiaffeggiata da due giovani ragazze a Tor Bella Monaca, mentre stava accompagnando la figlia a scuola sulla linea 059. Secondo una prima testimonianza di un'amica dell'aggredita, la donna di colore aveva chiesto alle due ragazzine di appena 15 anni di spegnere la sigaretta che si erano accese all'interno della vettura, visto che era presente la sua piccola bambina. Invece le due giovani hanno iniziato ad insultarla: "Brutta negra, stai zitta, tornatene al paese tuo". Madre e figlia una volta scese dall'autobus sono state seguite e poi prese a schiaffi dalle due quindicenni. Sempre secondo il racconto dell'amica della nigeriana nel posto sarebbe intervenuta una volante del commissariato Casilino che ha identificatole due ragazzine e l'aggredita, la quale potrebbe sporgere denuncia per l'aggressione subita.

Un altro episodio a sfondo razzista è successo a Galliera Veneta, in provincia di Padova. Su un'auto parcheggiata al centro, di proprietà di una ragazza mulatta, è comparsa la scritta 'negra' accompagnata da una svastica e una croce celtica. La ragazza è figlia di un medico africano e di un insegnante italiana ed è stata proprio quest'ultima ad accorgersi dell'accaduto, la quale ha subito denunciato l'episodio.

Fonte: Dazebao

Nella foto la donna aggredita a Roma

lunedì 28 settembre 2009

L'inchiesta sui relitti e sui fusti di Cetraro. L'atlante dei nomi e dei fatti


Il ritrovamento del relitto a largo di Cetraro ha fatto tornare a galla numerose vicende che partono dalla Basilicata e si diramano in tutto il mondo. Proviamo a fornirvi una sorta di atlante e fatti necessari al lettore lucano per avere strumenti di conoscenza approfonditi in un ordito dove verità e depistaggi spesso s’intersecano.

LA VICENDA LUCANA
La procura distrettuale di Potenza apre il procedimento nei confronti di diverse persone a seguito di un fascicolo ricevuto dalla procura di Matera che si era originato da una sentenza del novembre 1998 firmata dal pretore di Matera, sezione di Rotondella. Il 28 dicembre del 1999 vengono ufficialmente indagati Giuseppe Orsenigo, Raffaele Simonetta, Bruno Dello Vicario, Giuseppe Lapolla, Giuseppe Spagna, Giuseppe Rolandi, Tommaso Candelieri, Giuseppe Lippolis. Sono dirigenti dell’Enea di Rotondella.
Il 27 marzo del 2004 la procura distrettuale di Potenza aggiunge i nomi del livello criminale: Francesco Fonti, Giuseppe Arcadi, Giuseppe Musitano ed altre persone da identificare. Musitano è stato ucciso in un agguato mafioso a Reggio Calabria. Da circa un anno la Dda lucana ha aperto un procedimento contro sette persone. Pende al gip una richiesta di archiviazione presentata dal sostituto della Dda, Francesco Basentini.

TESTIMONI E COMPARSE DEL NUCLEARE A ROTONDELLA
Luciano D’Adamo è un guardiano del Centro Enea dipendente di un istituto di vigilanza. Nel settembre del 1999 nel corso di un’immersione subacquea al termine della condotta al mare del Centro di Rotondella ha notato il versamento di un liquido chiaro ed oleoso. Registrerà uno strano fastidio alle labbra nelle successive due settimane. Il titolare dell’impresa di pulizie del centro e l’ingegnere Simonetta hanno invece parlato di contaminazione del terreno. Un altro guardiano, Carmine Stigliani, avrebbe invece consegnato ad Alfonso Galotta, cognato di Mario Di Matteo, ex sindaco di Rotondella, dei permessi per accesso-uscita dall’Enea. Poi c’è un camionista che si chiama Giuseppe Bianco. Che ha effettuato dei trasporti di uranio verso il lido di Rotondella. Ha consegnato la merce a delle persone che viaggiano su un camion diretto a Marsiglia. Tutte queste notizie sono state fornite da una fonte confidenziale ai carabinieri che hanno redatto un’informativa. I militari hanno avuto anche la fotocopia di un biglietto d’ingresso e di un documento di trasporto di materiale radioattivo relativo al trasporto di 1900 chilogrammi di cesio e plutonio effettuato il 21 settembre e il 4 ottobre 1994 dalla ditta "Mit Nucleare" di Garugate e dal Centro Enea di Saluggia al Centro di Rotondella. La regolarità di questo viaggio è molto sospetta.

IL PESCHERECCIO AFFONDATO A METAPONTO
Si parla di una nave affondata nel mare lucano già in questa informativa del 17 aprile del 2000. A cento metri di profondità, a qualche chilometro dalla costa, in corrispondenza dell’idrovora di Policoro-Rotondella, esisterebbe un peschereccio affondato carico di fusti dell’Enea. Il pentito Fonti in un colloquio con il pm della Dda calabrese, Vincenzo Luberto, aveva indicato nello stesso tratto di mare il punto di una nave a perdere. In un’intervista all’Espresso il faccendiere dei veleni ha recentemente indicato un altro punto della costa calabrese, dicendo di aver depistato.

USTICA
Sempre nell’informativa lucana del 2000 si ipotizza che «Il disastro del Dc9 di Ustica era avvenuto a causa di traffici di uranio con paesi mediorientali e per volontà degli Usa». La questione è strettamente connessa al Centro Enea di Rotondella usata come vetrina di materiale nucleare da vendere a paesi come la Libia. E’ una tesi ritenuta attendibile da molti esperti.

ANGELO CHIMIENTI L’AMBIENTALISTA LUCANO CHE SAPEVA MOLTO
Nato a Pisticci e residente a Chiaromonte. Consulente del pm Pace e della Dda di Potenza dopo aver ricevuto numerose denunce per diffamazione da parte dell’Enea. Aveva raccolto 21 faldoni che sono ancora coperti dal segreto di Stato. Purtroppo Chimienti è morto. Ha indicato molte piste ai magistrati che non si voltavano dall’altra parte. Nei suoi verbali si trova scritto che i tecnici della Trisaia andavano spesso nell’Irak di Saddam Hussein. E’ stato in stretto contatto con il giornalista investigativo di Panorama, Giacomo Amadori. Ha anche consegnato ai magistrati il cifrario segreto dei materiali di Rotondella. E’ stato uno dei primi ad intuire che il sito unico delle scorie sarebbe stato indicato in Basilicata a Scanzano.

A REGGIO CALABRIA L’INCHIESTA MADRE SULLE NAVI
La prima inchiesta sui rifiuti tossici fu archiviata a Reggio Calabria nel 2000. Le indagini del pm Francesco Neri sulla ricerca della Rigel affondata a Capo Spartivento e della Jolly Rosso spiaggiata ad Amantea non avevano trovato i riscontri necessari. Per la ricerca della Rigel c’è stata la consulenza tecnica del dottor Scaramella oggi noto per essere stato coinvolto nell’avvelenamento dell’ex spia russa Litvinenko.

GUIDO GARELLI
Guido Garelli, uno "007" abituato a muoversi con disinvoltura sullo scacchiere internazionale, con passato avventuroso. Garelli sostiene di aver lavorato soprattutto per l’intelligence dell’Autorità territoriale del Sahara (l’area che da anni punta a staccarsi dal Marocco, amministrata dal Fronte Polisario), ma da molti è considerato organico ai servizi segreti statunitensi e italiani. Ha parlato molto del caso Alpi. E’ teste di raffronto con le tesi di Fonti. Il suo referente è il colonnello dei carabinieri Pietro Gentili che in seguito diventerà responsabile della sicurezza del villaggio Marinagri di Policoro, venendo coinvolto nella vicenda "Toghe lucane". Ma torniamo a Garelli che interrogato il 17 marzo del 2003 dichiarava a verbale che la Trisaia di Rotondella era la vetrina per chi doveva prelevare il materiale che veniva qui esposto per una sorta di outlet atomico. Si sarebbe trattato di uranio depleto, che ritrattato serve a costruire le bombe. Clienti principali Irak e paesi arabi. Il tutto con l’assenso dei governi italiani. Fonti e Garelli che hanno avuto frequentazioni carcerarie comuni sostengono tesi concordanti. Indicano la Somalia come discarica radiattiva italiana in base ai buoni rapporti tra Craxi e Siad Barre. Garelli sostiene che la "vetrina" nucleare di Trisaia è stata ideata da un professore pakistano dell’università di Trieste e da un misterioso albanese. Garelli nel traffico dei rifiuti dell’Enea ha fatto il nome del noto faccendiere napoletano Renato D’Andria e dell’ex collaboratore dei servizi Aldo Anghessa, che è stato arrestato con un magistrato di Como nel 2005 per traffico di armi e sostanze radioattive. Uno slavo invece, Galic Dragojubic sarebbe stato il referente degli acquirenti del nucleare di Trisaia indicando tre compagnie di nazionalità libica, siriana-irakena e iugoslava.

FONTI E LA SOMALIA. IERI E OGGI
La gola profonda della ’ndrangheta parla di Somalia in un verbale del 20 marzo 2004. Alcuni rifiuti della Trisaia sono partiti per la Somalia su una nave della compagnia Shifco, discussa società somala sulla quale indagava Ilaria Alpi, che sarebbe approdata a Boraso. I convogli partivano dalla Toscana e insieme ai rifiuti venivano inviati in pagamento per lo smaltimento carichi di armi. Alcuni giorni fa in un’intervista al Manifesto, Fonti arricchisce questo aspetto dichiarando al giornalista: «Ho portato di persona rifiuti radioattivi nel porto di Bosaso i militari italiani si voltavano dall’altra parte». Fonti afferma di essere stato personalmente a bordo di uno dei pescherecci della Shifco e di aver trasportato armi e un migliaio di bidoni.

(da "Il Quotidiano della Calabria")

Fonte: Articolo 21.info

domenica 27 settembre 2009

Le foto della giornata 'Puliamo il mondo'

Come promesso, vi posto alcune foto della giornata PULIAMO IL MONDO, iniziativa più importante di Legambiente a livello nazionale. Anche nel mio piccolo paese, Pietramelara, è stata organizzata questa giornata, a cui ho preso parte anche io.






Puliamo il mondo

Oggi parteciperò con la sezione di Legambiente Pietramelara (il mio piccolo paese) alla giornata PULIAMO IL MONDO, iniziativa più importante di Legambiente a livello nazionale.

In tantissime città la giornata sarà dedicata alla raccolta dei rifiuti e alla pulizia di strade, piazze e spazi verdi.
E' un piccolo contributo per migliorare l'ambiente che ci circonda, ma anche un gesto simbolico per sensibilizzare l'opinione pubblica a non inquinare.
Se riesco, farò delle foto al nostro lavoro.
Buona domenica a tutti.

sabato 26 settembre 2009

Un'altra occasione mancata: il Popolo della Libertà contro i cittadini aquilani


Il governo di questo paese e la sua maggioranza parlamentare lo hanno certificato ancora una volta, per la terza volta consecutiva. E lo hanno fatto, come le altre due volte, nel totale disinteresse dei mezzi d'informazione, compresi quelli presunti di opposizione: da Repubblica a L'Unità, dal Manifesto a Liberazione, dal Fatto a L'Altro. Nessuno si è preso la briga di riferire l'interessante (ed inquietante) dato di fatto emerso mercoledì mattina al Senato della Repubblica. Ovvero, i cittadini aquilani sono, per legge, terremotati di serie B.

Nella seduta antimeridiana al Senato di due giorni fa, la maggioranza approvava il cosiddetto "Decreto-legge correttivo del decreto-legge anticrisi", un provvedimento salito alla ribalta della cronaca nazionale per la presenza del discusso scudo fiscale.
La presenza dell'ennesimo condono finanziario targato Tremonti ha monopolizzato su di sé tutta l'attenzione della stampa nazionale. A spese dello scempio compiuto alle spalle dei cittadini dell'Aquila.

Il 1° luglio scorso il Consiglio dei Ministri approvava all'unanimità il cosiddetto "Decreto legge anti-crisi", un provvedimento profondamente contestato oltre che per la presenza del famigerato "scudo", per la decisione di ripristinare sin dal 1° gennaio 2010 il pagamento dei tributi per tutta la popolazione terremotata della provincia dell'Aquila. Arretrati non pagati compresi. Articolo 25.

Quando nel 1997 Umbria e Marche vennerò colpite al cuore dal sisma, il governo di allora (Prodi I) deliberò la sospensione del pagamento dei tributi per un anno e mezzo e impose la restituzione del 40% degli arretrati non pagati a partire dal 2009 in 120 rate.
Per L'Aquila il decreto anti-crisi blocca la sospensione dei pagamenti al 1° gennaio (dopo soli otto mesi), stessa data in cui si dovrà provvedere al pagamento del 100% degli arretrati (8 mesi contro i 144 dell'Umbria), attraverso 24 rate e non 120.

Le proteste di cittadini ed enti locali non sono mancate e, dopo un lungo tentativo di ignorare le contestazioni, il 27 luglio il Ministro Tremonti dichiarava con spirito magnanimo alla stampa tutta l'annullamento del provvedimento. E rivelava l'intenzione di lasciare l'onore (e l'onere) al capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, che avrebbe deliberato la cosa tramite regolare ordinanza.

Un'ordinanza che non è mai arrivata.

Eppure in quella data il provvedimento era ancora all'esame della Camera, tant'è che le opposizioni politiche (PD e IDV) presentarono diversi emendamenti all'articolo 25, tra cui alcuni finalizzati alla sua soppressione.
Sarebbe bastato un voto favorevole unanime ad uno degli emendamenti, senza scomodare per una questione meramente fiscale il capo della Protezione Civile. Il voto favorevole non c'è stato: la maggioranza, il giorno dopo l'annuncio trionfale del Ministro dell'Economia, confermava il ripristino totale delle tasse.

Tre giorni dopo la stessa cosa accadeva presso il Senato.

In seguito alle critiche formali al provvedimento anti-crisi espresse dal Presidente della Repubblica Napolitano, il governo, il 3 agosto scorso, approvava il decreto-legge correttivo. Giusto in tempo per le vacanze estive.

Il 15 settembre è partita nelle commissioni Bilancio e Finanze del Senato la discussione del correttivo. Il PD nell'occasione non ha mollato la preda ed ha presentato ben due nuovi emendamenti sull'ex articolo 25.
Entrambi chiedevano un ripristino dei pagamenti del tutto analogo a quello predisposto 12 anni fa per l'Umbria. Esattamente ciò che desiderava realizzare il governo, stando alle dichiarazioni del ministro Tremonti di due mesi prima (dichiarazioni, queste sì, riportate da tutta la stampa, compresa quella "di opposizione").

Il 23 mattina, nell'aula del Senato, la discussione degli emendamenti. Il risultato è presto detto: bocciati. Grazie anche all'assenza massiccia delle opposizioni: 25 favorevoli su 159 votanti per il primo, 28 favorevoli per il secondo.
13 su 14 i presenti dell'IDV, 6 su 10 quelli dell'UDC, 8 su 118 quelli del PD.

Dall'altra parte politica la ciliegina sulla torta dell'insulto istituzionale: una barricata targata PDL contro la sospensione dei tributi per L'Aquila. Contro la richiesta di un "equo trattamento" dei terremotati si sono schierati anche i senatori abruzzesi del PDL, parlamentari-soldati schierati compatti con il governo alla disperata caccia di fondi, anche quando si tratta di reperirli dalle tasche degli sfollati.

Fabrizio Di Stefano, Andrea Pastore e Paolo Tancredi i nomi dei tre senatori abruzzesi anti-abruzzesi del Popolo della Libertà.
Anna Finocchiaro, Luigi Lusi, Giovanni Legnini, Franco Marini e Claudio Micheloni i nomi dei 5 "eroici" senatori PD autori dei due emendamenti, impegnati in questa lotta spietata contro i mulini a vento.

Mulini spinti da ben due diverse raffiche di vento: una raffica che grida famelica della sua fame di soldi, l'altra che resta in silenzio. O, per meglio dire, assente.

Fonte: Il blog di Alessandro Tauro

E Santoro porta la D'Addario in tv

Ci voleva Annozero per far cadere la censura televisiva su Silvio Berlusconi e alcuni suoi intimi, da Vittorio Feltri a Patrizia D'Addario. Milioni di spettatori hanno potuto finalmente vedere il premier alle prese con una domanda vera sui suoi scandali, rivolta guarda caso da un giornalista spagnolo. Nella versione integrale, mai trasmessa dai telegiornali, con la partecipazione speciale di un esterrefatto Zapatero.
L'ignara casalinga di Voghera, ammesso che guardi Santoro, è stata alla fine informata sulla causa delle polemiche fra Berlusconi e la Chiesa, fra Berlusconi e Fini. Ovvero le iniziative di Vittorio Feltri, esponente del giornalismo grandguignolesco e direttore preferito dal premier. Uno che ha minacciato Fini di pubblicare dossier a "luci rosse", ha dato dell'omosessuale al direttore dell'Avvenire e perfino dell'impotente a Berlusconi stesso, sia pure prima di essere ingaggiato alla guida de Il Giornale. Mandati a letto i bambini, già alla comparsa di Feltri, si passa dunque al caso delle escort e veline. Lo scoop, si fa per dire, di Santoro è la messa in onda di una delle decine di interviste date da Patrizia D'Addario sulle televisioni di mezzo pianeta, tranne naturalmente la nostra, ma sarebbe meglio dire "la sua".

Basterebbe questo soltanto per chiudere sul nascere il dibattito sulla libertà d'informazione in Italia. Abbiamo dovuto aspettare tre mesi e la faticosa messa in onda di una trasmissione a rischio di chiusura per vedere in tv Patrizia D'Addario e sentirla parlare di uno scandalo tutto italiano che ha già fatto il giro del mondo. È uno scoop per "abbandono degli avversari", commenta il precario Rai Marco Travaglio, anche il racconto di chi è Gianpaolo Tarantini. Un altro intimo amico del presidente del Consiglio, al quale telefonava fino a dieci volte al giorno. Per quanto lo smemorato di Cologno, come lo chiama Fiorello, in pubblico finga di non ricordarne il nome ("Tarantino o Tarantini, quello..."). Il giovane imprenditore che ha confessato di usare prostitute e cocaina per ingraziarsi i politici e fare il salto di qualità, come fornitore di macchinari sanitari e aspirante faccendiere della Protezione Civile.
Non c'è nulla di nuovo, per chi ha letto i giornali, o almeno alcuni, in questi mesi. Ma è tutta una scoperta per chi guarda la televisione. E la scoperta più grande è che non si tratta di gossip, di buchi nella serratura, ma della tragedia politica di un Paese dove veline e prostitute finiscono sulle liste del Parlamento Europeo, dove le forniture degli ospedali dipendono dalle forniture di cocaina. Un'Italia di veri parassiti criminali, altro che i cantanti lirici additati al linciaggio dall'esagitato ministro Brunetta.

Ancora una volta, abbiamo dovuto aspettare tre mesi perché questi fatti venissero illustrati al pubblico televisivo in maniera semplicemente comprensibile. Non attraverso i pastoni politici, le mezze frasi, le allusioni, i commenti appesi al nulla. La trasmissione di Santoro ha aperto una breccia in un muro di omertà inconcepibile in una democrazia. È probabile che i muratorini dell'informazione al servizio del padrone si adoperino da oggi stesso per tappare la falla e riprendere come nulla fosse il gioco delle mistificazioni. Ma se la Rai fosse un'azienda appena decente, i dirigenti dovrebbero complimentarsi con Santoro, firmare subito i contratti in sospeso, e ringraziare le redazioni di Annozero e degli altri pochi programmi che ancora danno un senso all'espressione "servizio pubblico" e quindi anche ai loro lauti stipendi.

Fonte: La Repubblica

venerdì 25 settembre 2009

Il PD è la pillola indigesta: stavolta siamo con Dorina Bianchi

E’ impressionante, la capacità del PD di riuscire a rendersi ridicolo sulle questioni etiche. L’ultimo capolavoro (peraltro riportato da quasi tutti i quotidiani nazionali) riguarda l’indagine conoscitiva della Commissione Igiene e Sanità del Senato sulla RU486.
Per chi non segua quotidianamente questo genere di dibattito, ricapitoliamo la questione. Subito dopo l’ok dell’Agenzia Italiana del Farmaco all’immissione in commercio della pillola abortiva RU486 (che, lo ricordiamo, non è la pillola del giorno dopo, e la sua funzione sarà quella di costituire un’alternativa all’interruzione chirurgica della gravidanza), l’indagine da parte del Senato venne proposta da Maurizio Gasparri a luglio. La reazione del Partito Democratico fu, e giustamente, di scherno. In un’intervista rilasciata al sottoscritto, Livia Turco (che, ricordiamo, è una deputata e non una senatrice) parlò di ‘colpo di sole’. Di colpo di sole si trattava se fosse stata una candida proposta: in realtà di candido c’è poco. C’è invece il tentativo del centrodestra di sollevare un polverone sulla legge 194 (su spinta delle gerarchie ecclesiastiche) prendendo a pretesto l’introduzione della pillola abortiva. Che, d’altronde, è usata in un’infinità di paesi e tutti gli organismi scientifici che hanno dovuto valutarla lo hanno fatto positivamente, stando che ogni farmaco ha degli effetti collaterali anche gravi, e dunque anche la pillola abortiva. In ogni caso, ciò che accadrà sarà che i senatori della maggioranza, che vogliono sentirsi dire una sola cosa, e cioè che la pillola è insicura, fingeranno di audire una serie di personaggi mettendo in evidenza solo la minoranza che dice che la pillola va bandita e fingeranno di leggere documenti scientifici arcinoti per i quali non hanno alcuna competenza e metteranno in luce solo gli aspetti negativi. E poi, si vedrà. Dunque, non un colpo di sole ma una truffa e uno spreco di denaro pubblico. Una truffa alla quale, a sorpresa, il PD due giorni fa ha detto sì. I capigruppo della Commissione Sanità del Senato, infatti, hanno votato all’unanimità il via libera all’inchiesta. Anche il PD, con Dorina Bianchi, che, come noto, è una cattolica ex UDC subentrata nell’inverno scorso, fra le polemiche, a Ignazio Marino (l’Italia dei Valori ha vissuto una vicenda simile con Giuseppe Astore). Non solo. Bianchi farà anche la relatrice di minoranza. Apriti cielo. Gran parte delle elette democratiche si scagliano contro la collega, accusata di tradimento. Marino arriva a definirla un problema. Anna Finocchiaro la sconfessa. E fin qui non si potrebbe dar loro torto: un capogruppo deve cercare di rappresentare tutti, o almeno la maggioranza. E goffa appare la difesa della povera Dorina: ‘ho votato secondo mandato’.
Una difesa che, il giorno dopo, si rivela essere almeno in parte rispondente alla verità. A darle ragione, forse involontariamente, Anna Finocchiaro, che rivela l’esistenza di un accordo sotterraneo con Antonio Tomassini, PDL, presidente della Commissione Sanità: il PD voterà sì all’indagine, a patto che si faccia dopo il congresso del nostro partito. Dunque, secondo Finocchiaro, Bianchi non avrebbe sbagliato a votare a favore di una truffa, ma avrebbe sbagliato a farlo in quel momento.
Ora. Nulla, nel merito della questione e nelle posizioni sulle questioni etiche, ci unisce a Dorina Bianchi (che, a differenza delle colleghe, fin dall’inizio e con coerenza aveva dichiarato il suo favore personale all’indagine), della quale non condivideremo mai una parola e alla quale non si può perdonare di essere stata la relatrice della legge 40 sulla fecondazione assistita (il provvedimento che ha fatto da apripista all’usanza e al convincimento che di fronte a precetti religiosi si possa scavalcare perfino la Costituzione). Tuttavia, stavolta il tiro al piccione nei suoi confronti è stato avviato per coprire due guai. Il primo è che il PD, sulle questioni etiche, non esiste. E questa non è una novità. Così come non è una novità che da quelle parti si blateri quotidianamente della libertà di coscienza da garantire o non garantire sulle questioni etiche, mentre sarebbe auspicabile che i dirigenti, che citano spesso e volentieri la Costituzione, almeno la leggessero: scoprirebbero infatti che la libertà del parlamentare è garantita dagli articoli 67 e 68, non sui temi etici ma su tutto.
Il secondo, che invece è legato all’episodio specifico, è che il PD ha tentato, non riuscendoci, di piegare indegnamente le istituzioni alle proprie esigenze di partito: una truffa è una truffa, che avvenga prima o dopo il congresso del PD. E ci interessano poco i motivi politici che possano essere dietro al rinnegamento di questa ovvietà. Per questo, pur non condividendone nulla, stavolta siamo con Dorina Bianchi.

Fonte: Articolo 21.info

Prove iniziali di dittatura

Come sappiamo, siamo in tempo di crisi. Il governo però, difronte alla crisi, si limita a rispondere con duri attacchi ai lavoratori, ai precari, agli studenti e ai migranti. Le manovre del governo non solo non hanno mai avuto una finalità sociale ma hanno ridotto diritti già acquisiti e peggiorato il futuro degli studenti e dei lavoratori. Sono tanti gli esempi.

Si va dai tagli alla scuola voluti dalla Gelmini e da Tremonti, che hanno messo in atto il più grande licenziamento di massa della storia della Repubblica. Quest'anno verranno cancellati 43.000 posti. Come se non bastasse siamo l'unico paese che in tempo di crisi sottrare fondi all'istruzione e alla sanità per salvare speculatori e padroni.

Si arriva poi al nuovo pacchetto sicurezza che istituisce il reato di clandestinità, le ronde fasciste ed invita i medici a denunciare i propri pazienti, immigrati, che non siano in regola con le nuove norme.

Si arriva poi agli operai, che sempre più subiscono licenziamenti e casse integrazioni. Il governo garantisce il futuro dei padroni, ma mai quello degli operai. Gli stessi operai che continuamente vengono sfrattati. Gli stessi operai a cui arrivano multe da 10.000 euro per essere scesi in strada per difendere il loro lavoro. Gli stessi operai che vanno la mattina al lavoro e non sanno se ritorneranno a casa perchè il padrone si è intascato tutti i soldi che servivano per la sicurezza dello stabile.

Tutto quello che ho scritto non è una novità, ma manovre dittatoriali di questa portata non si erano mai verificate. L'unico modo per impedire tutto ciò è scendere in piazza uniti. Studenti, operai, precari, immigrati, perchè il futuro di tutti noi è messo in pericolo.

La tragedia di Viareggio si poteva evitare

Vi ricordate la tragedia di Viareggio? Tre mesi fa il deragliamento di un treno carico di Gpl provocò la morte di ben 31 persone.
Oggi emerge una verità agghiacciante. Si poteva evitare il deragliamento di quel treno. Ebbene sì. Si poteva evitare se il treno avesse montato i cosiddetti 'rilevatori di svio', particolari dispositivi in grado di far arrestare il convoglio se una ruota perde contatto con la rotaia. Ho saputo che l'agenzia nazionale per la sicurezza proporrà l'installazione di questi dispositivi sui vagoni che trasportano merci pericolose. Non solo. Tutte le motrici dei treni che trasportano carichi pericolosi verranno dotate di sistemi capaci di tirare automaticamente il freno in caso di errore dei macchinisti. Sono sicuramente due buone innovazioni in materia di sicurezza ferroviaria. Ma la cosa che mi fa riflettere e adirare e che perché ciò avvenisse ci sono voluti 31 morti. In Italia purtroppo funziona così, solo dopo i disastri si cerca di fare qualcosa. La tragedia di Viareggio si aggiunge alla lista delle tragedie evitabili.

Nasce Informare è un dovere

Informare è un dovere è un blog che nasce con lo scopo, o meglio il dovere, di informare correttamente tutti. La rete (nonostante i vari tentativi per imbavagliarla) rimane forse l'unico strumento di informazione libera. Ed è proprio la rete che dobbiamo sfruttare se vogliamo conoscere ed apprendere tante notizie che i media tradizionali ci forniscono in maniera non del tutto completa e precisa o, addirittura, non ci diranno mai. Inoltre, Informare è un dovere si occupa di tantissime tematiche: politica, società, giustizia, immigrazione, razzismo, cronaca, criminalità, economia, lavoro, televisione, cultura, salute, medicina, chiesa, scuola, università, ambiente, animali, scienza, sport. Questo blog vuole essere semplicemente un piccolo punto di ritrovo di corretta e libera informazione, nel vasto mondo di internet. Tutto qui. Benvenuti.