sabato 6 febbraio 2010

Legittimi impedimenti contro il permesso a punti


La conoscenza di una lingua, di quelli che sono i principi costituzionali, un regolare contratto di lavoro e un alloggio dignitoso e anche questo ottenuto tramite stipula di contratto con valore legale, sono elementi che dovrebbero rientrare nel novero dei diritti garantiti a tutti e a tutte. Questo dovrebbe essere valido in un paese che si ritiene civile, che aspira anche a fornire gli strumenti basilari per l’eguaglianza, che insomma voglia rendere tutti cittadini in grado di poter realmente far parte di una società. Ma gli uomini e le donne migranti non sono, per chi ci governa, cittadini come gli altri, sono un corpo estraneo su cui legiferare senza alcun principio di realtà, solo e soltanto in nome della possibilità di raggranellare qualche voto in più in vista delle prossime competizioni elettorali, oggetti ottimi per fare demagogia e per drogare ancora di più la coscienza comune.

L’idea del «permesso di soggiorno a punti», introdotta con la legge 94 [pacchetto sicurezza] comincerà non casualmente ad essere applicata in periodo carnevalesco, purtroppo non si tratta di uno scherzo ma dell’ennesimo strumento – per altro di difficile attuazione – messo in piedi, da una parte per incrementare le condizioni di precarietà e di clandestinità, dall’altra, ed è molto più grave, trasformare i diritti in doveri, in obblighi.

In pratica chi dal momento in cui tale modalità dei permesso di soggiorno entrerà a regime, proverà ad accedere al permesso di soggiorno, stipulerà un «accordo di integrazione». Si impegnerà di fatto, entro due anni al conseguimento di una serie di obbiettivi. Dovrà conoscere la lingua italiana e la costituzione, essere iscritto al sistema sanitario nazionale, mandare eventuali figli a scuola e avere regolare contratto abitativo. Se alla fine dei due anni avrà ottemperato a tutte queste richieste otterrà i 30 punti necessari, altrimenti avrà un altro anno di tempo per conquistarli. Passati i 3 anni, secondo i ministri Maroni e Sacconi [interno e welfare] risulterebbe evidente che «l’immigrato» non si vuole integrare e quindi scatterebbe l’espulsione. Il sistema ovviamente prevede anche punti in meno per chi si rende colpevole di reati.

Si potrebbe fare tanta ironia. Ci si potrebbe domandare quanti illustri membri del parlamento e del governo abbiano una sufficiente conoscenza della Costituzione, si potrebbero esibire dati sull’analfabetismo in crescita fra gli italiani Doc. Ma è più giusto domandarsi se i due geniali ministri si rendano conto o meno delle reali condizioni di vita e di lavoro in cui si trovano, grazie anche alle leggi da loro tanto apprezzate, dei 4.300 mila migranti residenti in Italia.

Senza giungere ai casi limite di chi, in regime di semi schiavitù, nei campi come nelle case, non ha il tempo materiale per poter imparare altre parole che quelle necessarie per obbedire agli ordini, si guardi al fatto che a fornire corsi di italiano per stranieri provvedono, su base volontaria, partiti, associazioni laiche e religiose, ma niente arriva dalla scuola pubblica. Anche imparare la lingua – che è un desiderio di chi emigra – è spesso un diritto inesigibile. La Costituzione fatica ad entrare anche nelle scuole, come farla entrare nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro o di socialità? Il contratto di affitto regolare è una chimera a cui aspirano a volte anche gli autoctoni. Per i migranti spesso è un sogno, ma il reo è chi affitta in nero o chi è costretto ad accettare le condizioni del proprietario? I figli a scuola? Volentieri! Peccato che con la riforma che si prepara, il tasso di abbandono scolastico per i figli di migranti sia destinato a crescere. I due ministri ignorano che in altri paesi come Canada o Germania dove vigono modalità simili, esiste un sistema di welfare per favorire i processi di inclusione sociale, quello che in Italia non è mai esistito. E da ultimo, si tolgono i punti a chi commette reati. Ma come la mettiamo con le prescrizioni?

A questo punto, visto che trionfa la beffa, la logica del «permesso a punti» andrebbe respinta al mittente. Per… legittimi impedimenti.

3 commenti:

Francesca ha detto...

Oggi la mia collega "funzionaria", per far vedere che è superiore agli altri, ha detto ad un'altra collega: "Abbiamo assunto una che non sa parlare l'italiano! E' una cosa allucinante!" D'altronde considera inferiore anche me, che vengo da un paesino di poco più di tremila abitanti!

Francesca ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Francesca ha detto...

Oggi ho litigato con un collega che ha cercato di farmi sentire inferiore a lui. Acciderbola, sto perdendo punti, mi espatrieranno!