Paola ha 49 anni e negli ultimi dieci ha vissuto nella casa romana di proprietà dei genitori della compagna Grazia. La loro è una relazione fatta di quotidianità, ma anche di viaggi all’estero e rafforzata dalla passione comune per l’arte. “Abbiamo curato delle mostre insieme, io dipingo, Grazia ha pubblicato anche un libro di poesie - racconta Paola – la sua famiglia non l’ha mai conosciuta davvero. Cattolici integralisti - li definisce Paola- . Se all’inizio i rapporti con le sorelle erano buoni, con i genitori invece non mi sono mai sentita a mio agio”, ci spiega.
Alla fine dello scorso anno i primi segnali che qualcosa non va e a gennaio una diagnosi che non lascia speranze con l’avanzare dell’incurabile malattia. “Grazia nell’ultimo mese soffriva molto – dice Paola, ancora scossa – il medico in ospedale ha chiesto alla madre se voleva farla dormire ma lei si è rifiutata”. “Nella sofferenza ha espiato i suoi peccati”, avrebbe poi spiegato la madre di Grazia con uno sconvolgente cinismo. Erano le 7.30 del mattino, del giorno subito dopo il funerale quando l’anziana donna ha informato Paola che avrebbe dovuto lasciare la casa di Roma. Mettere dieci anni in tre valigie, riempirle in fretta nel giro di pochissime ore, senza sapere dove andare, in uno dei momenti più drammatici e dolorosi della propria vita. “Devo ancora rientrare in casa per recuperare tutte le mie cose – dice Paola – hanno preso il nostro cane e ho dovuto consegnare anche le chiavi della macchina che era intestata a Grazia”.
Perché a Paola non spetta nulla. Come non sono spettate le decisioni inerenti alla salute della compagna. “Certo il personale in ospedale si è comportato molto bene, conosceva la situazione e mi ha permesso di stare sempre lì vicino a Grazia”, dice Paola. Ma è stata le sensibilità di quelle persone ad aiutare Paola, non la legge. Se qualcuno si fosse opposto, lei non avrebbe potuto far nulla, anzi non avrebbe neppure potuto ribellarsi, perché non aveva alcun diritto di assistere la compagna. E in fondo, le scelte reali sugli interventi da compiersi sono state prese dalla madre. Tutto questo perché l’ordinamento italiano non tutela le coppie di fatto. I conviventi non sono garantiti in caso di separazione, né in caso di ricovero né in caso di morte. Praticamente all’improvviso diventi un emerito sconosciuto, senza una briciola di dignità.
Un vuoto normativo enorme, quello che vive l’Italia, dove si continua a rimandare questa delicatissima discussione ad un disegno di legge che, come la stessa Unione europea ha chiesto in più occasioni, garantisca alle coppie non sposate, eterosessuali e non, parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali. Ma si sa nel nostro Paese per le coppie omosessuali la situazione è complicata. A loro è negata la possibilità di sposarsi e di acquisire quel complesso di diritti e doveri che, per la verità, in un Paese civile, dovrebbe prescindere dal matrimonio. Su questa tematica, che affligge migliaia di persone, si è di recentemente pronunciata la Corte costituzionale. E non è vero che ha negato i diritti delle coppie omosessuali, come si è da qualche parte sintetizzato. Ha detto una cosa sacrosanta. Ovvero che “spetta al Parlamento individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali”. E occorre farlo in virtù dell’art. 2 della Costituzione che dice che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Bene, la Corte ha riconosciuto tra le formazioni sociali “anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. La Costituzione, insomma, tutela le coppie di fatto e lo fa indipendentemente dal sesso. E’ la legge che ancora non ha regolato diritti e doveri spettanti alle unioni civili. E così, si ha l’impressione che, in questa come in altre circostanze, l’ordinamento italiano rimanga indietro rispetto al resto d’Europa e alla sensibilità comune. Che la legge non stia al passo con la società e i suoi mutamenti., che il Parlamento non si occupi dei problemi reali e che non se ne occupi anche per un difetto di laicità è un dato di fatto.
Paola ora sta male. La perdita di Grazia è recente e il dolore è ancora troppo forte. Può contare solo sull’appoggio della sorella e sull’ospitalità di un’amica. E sta valutando con un legale quali azioni intraprendere per far valere quei diritti, che in uno stato di diritto dovrebbero essere garantiti.
Fonte: Dazebao
2 commenti:
Si pensi anche a quello che succede nelle coppie omosessuali con figli (qui la nostra inchiesta: La mamma è sempre la mamma. Anche quando raddoppia): i nostri bravi moralisti non hanno alcun problema a trasformare di colpo un bambino orfano di un genitore in un bambino orfano di entrambi i genitori, dal momento che la legge riconosce solamente la madre o il padre naturali e non la/il sua/o partner...
ma poi con classi politiche che vanno a trans, si pagano le mignotte coi soldi pubblici, incornano le mogli e chi piu' ne ha piu' ne metta. Onestamente non so come reagirei se avessi un figliuolo omosessuale, probabilmente male... ma e' per contrastare la gente come me che occorrono leggi per garantire a loro gli stessi diritti degli altri.
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