Sostenitori del “sì” al referendum sui matrimoni gay in Australia festeggiano nelle strade. Credit: AFP PHOTO / WILLIAM WEST
L’Australia è favorevole ai matrimoni gay. Questo è il verdetto finale del voto per corrispondenza non vincolante svoltosi nell’arco degli ultimi due mesi, dal 12 settembre al 7 novembre, a cui ha partecipato quasi l’80 per cento dei cittadini aventi diritto.
Il 61,6 per cento degli elettori si è dichiarato favorevole ai matrimoni gay, mentre solo il 38,4 per cento ha espresso parere contrario.
La palla passa adesso al parlamento di Canberra, dove i deputati convertiranno in legge l’esito del voto. Il primo ministro australiano, Malcolm Turnbull, ha giurato che tutto sarà pronto per Natale. La discussione in aula dovrebbe cominciare già a partire da questa settimana.
“Milioni di australiani hanno votato sì all’equità, sì all’impegno, sì all’amore”, ha detto Turnbull, che ha assicurato che non ci saranno divisioni all’interno della sua coalizione di governo, nonostante le pressioni dell’ala più conservatrice per introdurre alcuni limiti all’interno del provvedimento.
Il risultato del voto per corrispondenza rappresenta un’importante svolta per quanto riguarda i diritti dei gay australiani, in un paese nel quale, fino al 1997, alcune regioni consideravano l’omosessualità un reato.
Bill Shorten, leader dell’opposizione e del Partito laburista australiano, ha esultato per l’esito della consultazione che però, secondo il suo parere, sarebbe stato meglio evitare.
“Provo dispiacere per i giovani che vedono messe in questione le loro relazioni in una maniera che non avremmo mai creduto di vedere ancora, ma almeno questo voto sulla parità di matrimonio ha dimostrato che è l’amore incondizionato ad avere l’ultima parola su tutto”, ha detto Shorten alla CNN.
Inizialmente la stessa comunità LGBTQ australiana, temendo l’avvio di una campagna accesa e divisiva da parte degli oppositori, era contraria al voto per corrispondenza, tanto da spingere un gruppo di avvocati per i diritti dei gay a sollevare la questione all’Alta corte australiana.
Fonte: The Post Internazionale
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