Regina Elisabetta, credit: fp
Nell’aprile del 2016 – grazie a una inchiesta giornalistica condotta dall’International consortium of investigative journalists (ICIJ), insieme al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, e ad altre 100 testate giornalistiche di tutto il mondo (per l’Italia ha preso parte all’inchiesta il settimanale l’Espresso) – venivano diffusi 11,5 milioni di documenti che portavano alla luce lo scandalo dei Panama Papers.
L’inchiesta rivelava la pratica del trasferimento di ricchezze nei paradisi fiscali da parte di migliaia di imprenditori, politici e personaggi dello spettacolo di tutto il mondo.
Domenica 5 novembre sono stati diffusi i “Paradise Papers”, ossia 13,4 milioni di file su soldi portati all’estero da personalità di spicco della politica, dell’imprenditoria e del mondo dello spettacolo.
L’inchiesta, anche questa volta, è stata condotto dal quotidiano tedesco Zeitung, che ha chiesto al consorzio internazionale dei giornalisti investigativi di procedere con le indagini. Per l’Italia è stata seguita dal settimanale l’Espresso e dalla trasmissione televisiva Report.
Tra i grandi nomi portati alla luce dalle indagini emerge quello della regina Elisabetta II d’Inghilterra. In particolare, l’inchiesta svela che 10 milioni di sterline dei fondi privati di Sua Maestà sono stati investiti in un fondo off-shore, alle isole Cayman, quello che viene identificato come un paradiso fiscale che garantisce l’anonimato oltre all’assenza di tasse, e alle Bermuda dal Ducato di Lancaster, insieme al Ducato di Cornovaglia dell’erede al trono.
La Bbc riporta che il Ducato di Lancaster ha sostenuto di non essere coinvolto nelle decisioni su come vengono investiti i soldi della regina. Decisione prese dai fondi di investimento ai quali l’argent della sovrana sono conferiti. Ma non c’è alcuna prova che Sua Maestà abbia conoscenza di specifici investimenti fatti a suo nome.
Sempre secondo la Bbc, le rivelazioni emerse domenica costituiscono solo una piccola parte di una mole molto più importante di informazioni che verranno diffuse noi prossimi giorni.
Dai documenti spuntano però anche i nomi di personaggi come le star Madonna e Bono, o del generale Wesley Clark, già comandante supremo della Nato in Europa, e del co-fondatore della Microsoft, Paul Allen.
A essere coinvolto dallo scandalo dei Paradise Papers c’è anche Wilbur Ross, ministro al Commercio di Trump, noto anche come l’uomo che avrebbe fatto affari con parenti e amici del presidente russo Vladimir Putin.
Ross, in particolare, ha interessi nella Navigator Holdings – di cui è membro del consiglio di amministrazione dal 2012 – che guadagna milioni di dollari ogni anno trasportando petrolio e gas per il colosso energetico russo Sibur, che vede tra gli azionisti il genero del presidente russo, Kirill Shamalov, marito di Yekaterina Putin.
Di Ross si conosce la società WL Ross & Co., specializzata nel prendere aziende sull’orlo del fallimento, risanarle e rivenderle una volta messe a posto. L’indagine dei Paradise Papers rivela come il rapporto tra Ross e la Navigator Holdigs sarebbe continuato attraverso società con sede alle isole Cayman.
Le rivelazioni su Wilbur Ross rischiano di creare nuovi imbarazzi per la Casa Bianca e il presidente statunitense Trump, mettendo in luce nuovi collegamenti che uniscono la presidenza Trump al supporto russo.
La sua presidenza è stata spesso coinvolta da accuse che insinuano come i russi abbiamo cercato di influenzare l’esito delle elezioni statunitensi dello scorso anno. Accuse dalle quali il presidente si è sempre difeso parlando di “notizie false”.
Non ci sono prove per affermare che Ross abbia violato formalmente alcuna legge ma politicamente il discorso è di opportunità sul continuare ad avere contatti con la Navigator Holding. Ross è una persona vicina a Donald Trump sin dagli anni Novanta, quando contribuì a salvarlo da una bancarotta per la costruzione di un casinò ad Atlantic City.
Secondo la Bbc le rivelazioni delle ultime ore sono solo la punta dell’iceberg fatto di centinaia di politici, multinazionali, celebrità e personaggi di alto spessore che hanno utilizzato trust, fondazioni e società fittizie con un sistema di scatole cinesi per proteggere le loro ricchezze dal fisco.
Fonte: The Post Internazionale
Nessun commento:
Posta un commento