Un centro ricreativo di Tysfjord. (TORE MEEK/AFP/Getty Images)
La polizia norvegese ha individuato 151 casi di presunta violenza sessuale, inclusi stupri di bambini, in una piccola e isolata comunità di Tysfjord, che ha meno di duemila abitanti ed è affacciata sul Mare Artico. Per ora due persone sono state formalmente accusate di un totale di dieci violenze sessuali, ma la polizia ha detto che potrebbero esserci altre incriminazioni. Il 70 per cento delle persone coinvolte appartiene alla popolazione indigena Sami, cioè i lapponi, e molti sono fedeli laestadiani, un movimento luterano revivalista molto diffuso in Scandinavia.
L’indagine della polizia è cominciata dopo che nel 2016 il Verdens Gang, un giornale locale, pubblicò le testimonianze di uomini e donne di Tysfjord che dicevano di avere subìto violenze sessuali. Il rapporto della polizia ha identificato però un totale di 82 vittime, di età comprese tra i 4 e i 72 anni, e di 92 sospetti: in alcuni casi ci sono persone che sono sia presunte vittime che presunti colpevoli. Dei 151 casi di presunta violenza sessuale, 43 sono stupri e in tre casi hanno avuto dei bambini come vittime. I primi risalgono al 1953, e infatti oltre 100 casi non saranno perseguiti perché interessati dalla prescrizione.
Del caso di Tysfjord si sta infatti discutendo in Norvegia non solo per la gravità e la natura delle accuse, ma perché secondo molti è rappresentativo dei problemi nel rapporto tra i Sami e le autorità nazionali norvegesi. I giornali norvegesi raccontano infatti che in molti casi le vittime si sono rivolte alle autorità religiose, invece che alla polizia, per raccontare le violenze subite. I Sami sono qualche decina di migliaia, e sono stati a lungo discriminati dalle autorità norvegesi: hanno uno stile di vita strettamente legato alla natura, minacciato dallo sfruttamento minerario ed energetico norvegese.
Una portavoce della polizia ha detto che «non ci sono ragioni per pensare che l’appartenenza etnica o la fede religiosa siano spiegazioni del perché sono avvenute le violenze». Ha però ammesso che ci sono stati certi «meccanismi» nella comunità «che hanno reso difficile che certe cose emergessero», spiegando che c’è «una grande necessità di chiudersi nella famiglia, in un contesto in cui la società norvegese ti guarda dall’alto verso il basso».
Lars Magne Andreassen, direttore di un centro di cultura Sami a Tysfjord, ha detto al Guardian di essere addolorato che questi casi si siano verificati, ma di essere orgoglioso che finalmente siano stati denunciati. Secondo Andreassen c’è stato tanto «un silenzio delle vittime» quanto delle autorità, che non hanno ascoltato la comunità locale.
Fonte: Il Post
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