(EPA/Juan M. Espinosa/ANSA)
Giovanni Sartori è morto a 92 anni. Noto al pubblico più generale soprattutto come editorialista del Corriere della Sera e opinionista televisivo, nonché inventore di neologismi poi diventati di uso giornalistico e politico comune come “Mattarellum” e “Porcellum”, Sartori era il più importante scienziato politico italiano e uno dei più importanti al mondo, autore di testi sulla democrazia e i partiti studiati ancora oggi nelle università di mezzo mondo.
Nato a Firenze nel 1924, Sartori si laureò a Firenze in Scienze Politiche nel 1943; nella stessa università cominciò a insegnare dalla seconda metà degli anni Cinquanta, fino a diventare preside della facoltà di Scienze politiche tra il 1969 e il 1971. Nel corso della sua carriera, Sartori ha ricevuto otto lauree honoris causa e il premio Principe delle Asturie, il più importante per le scienze sociali. Ha donato moltissimi libri alla biblioteca del Senato, che nel 2016 gli ha dedicato una sala.
Nonostante la notorietà pubblica, quello accademico era probabilmente l’ambito in cui Sartori era più famoso: nella sua carriera ha insegnato in molte università italiane e internazionali, e al momento della sua morte era ancora professore emerito sia dell’Università di Firenze sia della Columbia University di New York. Fra i suoi libri più famosi c’è Democrazia e definizioni, un saggio uscito nel 1957 per il Mulino, e la raccolta Teoria dei partiti e caso italiano, del 1982.
Sartori era una figura difficilmente inquadrabile in una precisa ideologia, cosa rara in un’epoca in cui lo erano molti accademici, soprattutto nel suo campo. Negli anni, ha avuto pareri molto netti sui principali protagonisti della politica italiana: definì il sistema di potere di Silvio Berlusconi un “sultanato”, mentre più di recente aveva definito Matteo Renzi un “imbroglione aggressivo”. Sartori è rimasto molto attivo nel dibattito pubblico italiano anche negli ultimi anni: qui c’è la raccolta dei suoi editoriali pubblicati dal Corriere della Sera. Sempre sul Corriere della Sera, Antonio Carioti ha riassunto così la complessità della sua figura:
Riteneva fuorviante dipingere l’antagonismo tra Dc e Pci come un «bipartitismo imperfetto» (cioè senza alternanza), secondo la formula adottata da Giorgio Galli. A suo avviso l’Italia era invece un esempio di «pluralismo polarizzato»: molti partiti, alcuni dei quali antisistema, con un enorme divario ideologico dall’estrema destra all’estrema sinistra e robuste spinte centrifughe. Uno scenario tutt’altro che rassicurante, simile a quelli della Germania di Weimar, della Spagna alla vigilia della guerra civile, della Quarta Repubblica francese. E se l’attenuarsi delle tensioni ideologiche ha scongiurato le prospettive peggiori, non c’è dubbio che l’incapacità del Paese di trovare un assetto stabile conferma la sussistenza dei problemi di fondo rilevati dal politologo fiorentino.
Se si passa dall’elaborazione teorica al giudizio sulle vicende concrete, un tratto peculiare di Sartori era la sua estraneità agli schemi usuali. Era un moderato anticomunista («quando c’erano i comunisti», precisava), ma fermissimo nel denunciare il conflitto d’interessi che rendeva anomala la figura del politico imprenditore Silvio Berlusconi. Nel contempo, in rude polemica con la sinistra, criticava ogni sottovalutazione del problema costituito dall’immigrazione di massa: lontanissimo dalla retorica dell’accoglienza, temeva il multiculturalismo come motore di una deleteria «balcanizzazione» delle società occidentali. E non cessava di porre in rilievo la vocazione teocratica dell’Islam, fino trovarsi in una qualche sintonia con Oriana Fallaci.
Fonte: Il Post
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