martedì 24 ottobre 2017

Un ricercatore iraniano dell’università di Novara è stato condannato a morte a Teheran

Ahmadreza Djalali, in carcere a Teheran dal 25 aprile 2016, è stato condannato alla pena capitale per spionaggio


Ahmadreza Djalali, ricercatore iraniano di 45 anni, esperto di Medicina dei disastri e assistenza umanitaria presso l’Università del Piemonte Orientale di Novara – e in carcere in Iran dal 25 aprile 2016 – è stato condannato a morte.

La notizia è stata diramata dalla moglie di Djalali e, in seguito, è stata confermata dalla Farnesina. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano ha ribadito che l’Italia continuerà “a sensibilizzare gli iraniani su questo caso fino all’ultimo” come ha già fatto “a livello diplomatico con il nostro ambasciatore e a livello politico come Farnesina”.

Djalali è stato arrestato in Iran il 25 aprile 2016, dove si trovava per prendere parte a dei seminari sulla Medicina dei disastri. Detenuto nella prigione di Evin, nella capitale Teheran, è stato condannato a morte con l’accusa di spionaggio. In due precedenti occasioni si era recato in Iran senza conseguenze.

Ad avergli creato problemi potrebbe essere stato il fatto di aver firmato articoli specialistici con ricercatori sauditi o di avere insegnato con professori israeliani nello stesso master e aver partecipato, ancora con un esperto israeliano, a un progetto dell’Unione europea sulla gestione di emergenze radiologiche, chimiche e nucleari.

In carcere ha condotto tre scioperi della fame, e uno delle sete, per affermare la propria innocenza. Le sue condizioni di salute sembrano esser peggiorate velocemente.

Il processo si è svolto in modo molto lento e i giudici, dopo avere ricusato i difensori di Djalali, hanno impiegato solo due udienze per giungere al verdetto.

Tra gli strenui difensori del ricercatore, oltre ai suoi colleghi dell’università del Piemonte orientale di Novara e la Conferenza dei rettori universitari italiani (Crui) anche Amnesty International che ha lanciato una campagna per la sua liberazione.

Fonte: The Post Internazionale

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