(FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
Il 10 febbraio il Consiglio dei ministri dal governo italiano ha approvato due decreti legge: uno riguarda “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” e l’altro “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Il primo è quello che prevede più poteri per i sindaci e introduce quello che dai giornali è stato definito il “Daspo urbano”: così come il Daspo serve a vietare l’ingresso negli stadi a tifosi violenti, il “Daspo urbano” permette di vietare per un anno l’accesso a certi luoghi a «chi deturpa zone di pregio delle città» o fino a cinque anni per chi spaccia. Il secondo riguarda invece la gestione dei migranti, prevede l’apertura di nuovi CIE (i centri di identificazione ed espulsione degli stranieri irregolari) e procedure più rapide per l’espulsione degli immigrati irregolari, ed è quello che ha ricevuto più rilevanza da giornali ed esperti di immigrazione.
I contenuti del decreto sull’immigrazione erano già stati anticipati a fine dicembre, quando Franco Gabrielli – capo della Polizia e direttore generale della pubblica sicurezza – mandò a prefetture, questure, e ai comandi dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia Penitenziaria una circolare urgente di due pagine, in cui parlava sostanzialmente della necessità di un nuovo approccio all’espulsione dei migranti irregolari. Molti giornalisti ed esperti considerarono – giustamente – quella circolare come un’anticipazione di un più ampio piano pensato da Marco Minniti, il nuovo ministro dell’Interno del governo Gentiloni.
Una delle novità del decreto è la possibilità per i comuni di far lavorare i migranti in modo gratuito e volontario a lavori di pubblica utilità per «colmare il vuoto dell’attesa», ha spiegato Gentiloni. Ma il nuovo decreto sui migranti si pone soprattutto come obiettivo quello di ridurre il tempo necessario al riconoscimento del diritto d’asilo e, come ha spiegato Paolo Gentiloni nella conferenza stampa di presentazione del decreto, a facilitare «i meccanismi e i sistemi necessari per i rimpatri dei migranti che non hanno diritto all’asilo». Le decisioni sulle concessioni del diritto d’asilo dovrebbero diventare più veloci perché è stato abolito un grado di giudizio – Orlando ha detto che il decreto definitivo di negazione della richiesta di protezione non sarà ricorribile in appello ma solo in Cassazione – e perché sarà aperto un CIE in ogni regione, per aumentare la loro capacità di gestione.
Il decreto legge del 10 febbraio prevede anche la creazione in 14 tribunali ordinari di sezioni specializzate, appositamente dedicate alle richieste d’asilo e ai rimpatri. Orlando ha detto che in queste sezioni ci saranno «giudici che siano dedicati a questa attività, che applichino la legge partendo dalla conoscenza del fenomeno migratorio».
I CIE infine cambieranno nome e diventeranno “Centri di permanenza per il rimpatrio”. Il tempo massimo di permanenza in un CIE era di 18 mesi e queste strutture sono state spesso criticate perché ritenute delle specie di prigioni, e in fondo anche piuttosto inefficaci: non tutti quelli che ci finiscono dentro vengono effettivamente rimpatriati. Il Corriere della Sera aveva calcolato che, su circa 38mila immigrati irregolari individuati nel 2016, poco più di cinquemila erano stati rimpatriati.
Commentando il decreto legge Gentiloni ha detto: «L’obiettivo strategico non è chiudere le nostre porte ma trasformare sempre più i flussi migratori da fenomeno irregolare a fenomeno regolare, in cui non si mette a rischio la vita ma si arriva in modo sicuro nei nostri Paesi e in misura controllata». In questo ottica, ad esempio, rientra anche il recente accordo stretto dal governo italiano col governo di unità nazionale libica, anche se la sua efficacia dovrà essere effettivamente dimostrata.
Fonte: Il Post
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