Un rapporto del governo birmano sui presunti abusi dell'esercito nei confronti dei rohingya ha negato che sia un corso una persecuzione religiosa. Credit: Soe Zeya
Secondo le Nazioni Unite almeno 65mila rohingya hanno abbandonato la Birmania per cercare rifugio in Bangladesh a causa della repressione da parte delle forze armate birmane nello stato settentrionale di Rakhine.
“Al 5 di gennaio, circa 65mila persone risiedono nei campi profughi registrati, in accampamenti di fortuna e nelle comunità locali nel sud del Bangladesh”, ha dichiarato l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu.
“Nel corso della settimana passata, sono stati segnalati 22mila nuovi arrivi che hanno attraversato il confine provenienti dallo stato di Rakhine”, si legge invece nel rapporto settimanale delle Nazioni Unite.
L’esodo dei rohingya, una comunità di fede musulmana, è cominciato dopo che l’esercito birmano ha avviato un’operazione per individuare i membri di un’insurrezione etnica armata lasciandosi dietro una scia di morte e sangue.
Gli attivisti denunciano infatti che i soldati birmani stanno commettendo stupri e omicidi di massa e stanno distruggendo le abitazioni dei rohingya.
I gruppi per la difesa dei diritti umani sostengono che tali abusi potrebbero costituire crimini contro l’umanità e da molte parti è arrivato l'appello al premio Nobel per la pace e attuale ministro degli Esteri birmano Aung San Suu Kyi affinché metta fine alle presunte violenze.
Il governo birmano ha avviato un’indagine in merito, ma il rapporto pubblicato la settimana scorsa nega che sia in corso un genocidio o una persecuzione di matrice religiosa.
Lunedì 9 gennaio 2017, l’inviato Onu per i diritti umani in Birmania Yanghee Lee ha cominciato la sua visita, che durerà 12 giorni, per avviare un'indagine indipendente sulle accuse lanciate contro l’esercito birmano.
-- LEGGI ANCHE: La storia dei rohingya, una della minoranze più perseguitate al mondo
-- LEGGI ANCHE: Il video che mostra i soldati birmani prendere a bastonate due rohingya
Fonte: The Post Internazionale
Nessun commento:
Posta un commento