sabato 24 ottobre 2015

Vogliamo cambiare il mondo? Usiamo le nanotecnologie

Esiste un filo rosso che lega i destini dei Paesi benestanti e quelli poveri. È ingenuo pensare che una situazione in cui il 20% della popolazione sfrutta l'80% delle risorse sia sostenibile e senza conseguenze

di Roberto Cingolani*

(Carsten Koall/Getty Images)

Se l’umanità vorrà un futuro dovrà sviluppare tecnologie capaci di ridurre le differenze e di preservare l’ambiente. Il primo passo è quello di innalzare il livello del welfare, là dove ancora si muore di fame e si diffondono epidemie come l’ebola. Le nanotecnologie possono rappresentare una grande opportunità offerta dalla scienza in questa direzione.

Possono infatti portare profonde innovazioni nell’analisi e nella diagnosi precoce; nelle terapie personalizzate; nel rilascio selettivo di medicinali sulle singole cellule malate, senza effetti collaterali; nella creazione di nuovi materiali artificiali biocompatibili e nell’ingegneria tissutale e degli organi. Per esempio, le nanotecnologie potrebbero permettere diagnostiche portatili a basso costo, di tipo «usa e getta», in grado di verificare molto rapidamente e con altissima sensibilità l’insorgenza di una malattia ma anche una mutazione genetica o la presenza di determinati elementi inquinanti e/o pericolosi in quantità piccolissime di campioni prelevato dal paziente (per esempio saliva, sangue, capelli ecc.) o dal sistema che si vuole analizzare (cibo, animali ecc.).

"Se l’umanità vorrà un futuro dovrà sviluppare tecnologie capaci di ridurre le differenze e di preservare l’ambiente. Le nanotecnologie possono rappresentare una grande opportunità offerta dalla scienza in questa direzione

Questi sensori sono pensati per effettuare screening di ampi campioni di popolazione in assenza di ospedali, analizzare lo stato di conservazione e sofisticazione dei cibi che devono essere trasportati in giro per il mondo, o effettuare analisi rapide negli aeroporti, per prevenire la diffusione di malattie contagiose. Lo sviluppo di questa tipologia di sensori biologici e medicali ad altissima sensibilità – noti come “point of care technology” –, in grado di rilevare la presenza di una o più specie chimiche in un campione biologico in soluzione, è una sfida scientifica di capitale importanza, in quanto porterebbe la cura nel luogo esatto in cui c’è bisogno di intervento (sia essa cura o prevenzione) rovesciando il paradigma per cui, in caso di sospetta malattia o contagio, è il paziente a doversi recare in un ospedale.

Questa tecnologia ha un comprensibile significato sociale, basti pensare alla possibilità di portare tecnologie di screening massivo e a basso costo nei Paesi affetti da malattie epidemiche o di utilizzarle per l’analisi in loco dell’inquinamento delle falde acquifere. Questa stessa tecnologia potrebbe consentire di rivelare la presenza di enzimi specifici, connessi a marcatori tumorali noti, attraverso la loro azione biocatalitica su nanoparticelle metalliche. La sensibilità di questo metodo è straordinaria: consente infatti di rivelare concentrazioni enzimatiche nell’ordine di 1 molecola ogni 100 miliardi di miliardi.

Il successivo passaggio sarà quello di dotare il sensore della capacità di distruggere questa cellula, una volta individuata.

Purtroppo tale passaggio nella realtà del corpo umano è estremamente difficile. Uccidere le cellule è semplice; il problema è la capacità di uccidere in un essere vivente solo le cellule malate distinguendole da quelle sane. Lo sviluppo di sensori molto avanzati che consentono di riconoscere con grande accuratezza mutazioni genetiche, cellule malate e proteine rappresenta quindi solo il primo passo.

"Queste nuove tecnologie potrebbero inoltre guidare una nuova rivoluzione manifatturiera, creando materiali a bassissimo impatto ambientale, senza ulteriore aggravio per il pianeta in termini di sfruttamento delle risorse e di inquinamento. Anzi potrebbe essere il primo passo per un’inversione di tendenza

Le tecnologie di intelligent drug delivery, cioè di rilascio mirato di medicinali, rappresentano ancora una frontiera della ricerca, anche se molti passi sono già stati fatti, basti pensare a titolo di esempio alle nanocipolle al carbonio sviluppate in IIT, già oggi in grado di illuminare con grande precisione le cellule malate e senza problemi di tossicità.

Lo sviluppo di sistemi multifunzionali che garantiscano simultaneamente contrasto diagnostico e capacità terapeutica, in risposta a stimoli di tipo diverso, è una delle sfide più appassionanti della nanomedicina. Perché tutto questo si realizzi è necessario un elevato impegno dei governi dei Paesi benestanti, attraverso visioni di sviluppo scientifico e tecnologico centrate sull’uomo e politiche di respiro, capaci, fra l'altro, di portare queste tecnologie nei Paesi poveri.

Più che di una decrescita felice – anche se una certa riduzione degli eccessi è auspicabile – è urgente un innalzamento del benessere là dove non c’è, in connessione a una nuova idea di sviluppo, là dove il benessere già esiste. Si tratterebbe di un circolo virtuoso con benefici diffusi. Queste nuove tecnologie potrebbero inoltre guidare una nuova rivoluzione manifatturiera, creando materiali a bassissimo impatto ambientale, senza ulteriore aggravio per il pianeta in termini di sfruttamento delle risorse e di inquinamento. Anzi potrebbe essere il primo passo per un’inversione di tendenza.

Questo futuro è all’orizzonte e, con ogni probabilità, lo vedremo realizzato già nella seconda metà di questo secolo. Non è più un problema tecnologico. Da ora in avanti sarà determinante anche la volontà politica di realizzare una nuova idea di società.

* direttore scientifico dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova

Fonte: Linkiesta.it

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