Men che meno rileva il miserrimo espediente a cui ha fatto ricorso il sindaco Oscar Lancini, invocare “la tradizione” di un simbolo di cui nessuno sa nulla, come fatto a suo tempo per la discendenza “celtica” degli abitanti della Padania, inclusi gli operosissimi lavoratori dall’inconfondibile accento pugliese, campano, siciliano o calabrese che affollano il territorio padano.
Un episodio ci sembra del tutto paradigmatico dell’incultura di questo paese, parlando di fondamenti del liberalismo. Ieri l’altro un abitante di Adro, intervistato dal Tg Rai regionale della Lombardia, ha chiosato: “Beh, se la Lega ha vinto, se qui comanda la Lega…” C’è molto di marxista leninista, in questa affermazione: l’idea che “the winner takes all“, in spregio alla minoranza, entità fastidiosa di cui questa Italietta grettamente destrorsa vuole liberarsi il prima possibile; e soprattutto considerare del tutto fisiologico il fatto che lo stato debba coincidere col partito. Accadono cose simili anche nella rossa Toscana, dove questo concetto si è fatto sistema e regola di vita, pur con qualche limitazione formale che salvi la faccia ed eviti guai. La cultura italiana mainstream pare essere un assai poco pregevole esempio di sintesi (o meglio di sincretismo, visto il fervore missionario che caratterizza gli agit-prop di ogni colore) di totalitarismo ed illiberalismo, da destra come da sinistra.
I leghisti non sfuggono alla tradizione: sono “padroni a casa loro”, e pazienza che la casa sia anche di quanti hanno deciso di mandare i propri figli ad una scuola pubblica nella vana speranza di non vedersi ammorbare di segni e simboli terzi e di parte. Non sappiamo se sia condivisibile l’epiteto rivolto da Luca Telese al sindaco di Adro, l’altra sera nel corso della trasmissione radiofonica “La Zanzara“, su Radio24. Quello che ci pare di poter affermare con certezza è che in questo piccolo comune del bresciano ci troviamo di fronte ad un caso da manuale di violazione della laicità dello stato, oltre che di tentativo (molto italiano) di privatizzazione di una struttura pubblica sul piano più prevaricatore, quello delle simbologie e delle ideologie.
Sarebbe utile che l’ineffabile ministra Gelmini prendesse posizione in modo meno scialbo di quanto fatto finora. Potrebbe dimostrarci che un minimo di cultura liberale in fondo è riuscita a ficcarsela in testa, dai tempi in cui tentava di superare l’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato emigrando in quel di Reggio Calabria, dove la meritocrazia tanto invocata da alcuni baroni-ministri è notoriamente una tradizione ben radicata.
Fonte: Agoravox Italia
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