Cruciale per il dibattimento il riconoscimento del reato di associazione mafiosa per la banda di Buzzi e Carminati: un punto per l'accusa già a segno nel rito abbreviato
di Luca Rinaldi
Parte oggi, 5 novembre, il processo sui fatti di “Mafia Capitale”. Quattro udienze a settimana (preventivate in tutto 136), fino a luglio dell’anno prossimo per chiudere il procedimento. Sono 46 gli imputati nel processo con rito immediato davanti ai giudici della X sezione penale del Tribunale di Roma. Nell’aula Vittorio Occorsio del Palazzaccio, i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, sotto la guida del procuratore capo Giuseppe Pignatone, cercheranno di dimostrare che la «piccola organizzazione con un capo che è Carminati» ma che in questi anni «è riuscita a intessere rapporti con politici e pubblica amministrazione», è una associazione di stampo mafioso.
Con queste parole lo stesso Pignatone definiva la cosiddetta “Mafia Capitale” lo scorso 1 luglio davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia. Al processo le contestazioni dovranno reggere in aula, con le difese chiamate a smontare centinaia di migliaia di pagine di risultanze investigative e intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte direzione distrettuale antimafia di Roma. Insomma, quella di Buzzi e Carminati, per gli inquirenti non è solo una “banda” di criminali non associati tra loro.
"Nell’aula Vittorio Occorsio del Palazzaccio i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, sotto la guida del procuratore capo Giuseppe Pignatone, cercheranno di dimostrare che la «piccola organizzazione con un capo che è Carminati» ma che in questi anni «è riuscita a intessere rapporti con politici e pubblica amministrazione», è una associazione di stampo mafioso.
Sulla mafiosità di questa organizzazione si sono spesi fiumi di inchiostro, sia a favore che contro. In primis, chiaramente, quello della procura romana che ha raccolto gli elementi nel corso delle indagini, mentre in seconda battuta c’è stato chi ha affermato che «Mafia Capitale non è una mafia» perché «di morti sul selciato non se ne sono visti». Tuttavia la violenza, l’usura e l’estorsione non sono elementi che mancano tra le carte dell’inchiesta della direzione distrettuale antimafia.
Nel frattempo un primo punto a favore della tesi degli inquirenti romani è stato messo a segno lo scorso 3 novembre nel corso dei procedimenti col rito abbreviato. La condanna più pesante è arrivata per Emilio Gammuto, accusato di corruzione a cui è stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso. Gammuto è al centro di fatti corruttivi ed è uno degli uomini che porta ai contatti tra mafia capitale e imprenditori in odore di ‘ndrangheta nel settore dell’accoglienza dei migranti.
Altre condanne, cioè quattro anni per usura, sono arrivate per Fabio Gaudenzi e Raffaele Bracci, considerati vicini all’ex Nar Massimo Carminati. Quattro anni per corruzione invece sono arrivati per Emanuela Salvatori, ex funzionaria del comune e responsabile per l’attuazione del piano nomadi di Castel Romano.
"Nel frattempo un primo punto a favore della tesi degli inquirenti romani è stato messo a segno lo scorso 3 novembre nel corso dei procedimenti col rito abbreviato. La condanna più pesante è arrivata per Emilio Gammuto, accusato di corruzione a cui è stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso.
Tuttavia è proprio la condanna di Gammuto a instradare anche il processo principale verso i binari del riconoscimento dell’associazione mafiosa. Alla sbarra ci saranno, oltre a Buzzi e Carminati - non presenti per ragioni di sicurezza - anche l’ex amministratore delegato di Ama Franco Panzironi, ritenuto dagli inquirenti il tramite tra la politica romana e il clan durante la sindacatura di Gianni Alemanno, l’ex presidente in quota Pd del consiglio comunale Mirco Coratti, l’ex consigliere di Forza Italia Giordano Tredicine, il costruttore Daniele Pulcini e Luca Odevaine, che ora si trova agli arresti domiciliari.
Durante il processo verrà analizzata e utilizzata come prova anche la relazione della commissione prefettizia insediata col precedente prefetto (prima dell’arrivo di Gabrielli) Marilisa Magno. Il documento è stato desecretato lo scorso 2 novembre. Si tratta delle mille pagine con cui la commissione prefettizia chiedeva senza mezzi termini di “sciogliere” il Comune di Roma per infiltrazioni mafiose. Quel documento che «mi sarei tagliato una mano per averlo», ha detto l’ormai ex assessore Alfonso Sabella, ricostruisce l’organigramma di Mafia Capitale, in particolare gli uomini cerniera tra Carminati, Buzzi, la politica e le istituzioni romane.
Sul tavolo del ministero dell’interno non arrivarono quelle mille pagine, ma la relazione “temperata” dell’attuale prefetto di Roma Franco Gabrielli che ha optato per una soluzione più soft, e che ha portato lo stesso Gabrielli a occupare un ruolo di primo piano nella gestione degli affari, anche politici, della città di Roma. I bene informati danno la relazione al centro del processo entro le prime quattro udienze. Via al processo dunque, senza segreto di Stato.
Le difese invece dal canto loro si sono già attivate con tutti i mezzi disponibili e anche per via mediatica: la Camera Penale di Roma ha denunciato 96 tra cronisti e direttori di giornali cartacei per aver divulgato le carte dell’inchiesta prima del tempo. Una denuncia monstre che lo scorso 24 settembre è stata presentata dal presidente della Camera Penale Francesco Tagliaferri e dal collega Giovanni Pagliarulo, che coinvolge i cronisti che nella prima e nella seconda tranche di mafia capitale hanno scritto articoli sulle mosse della procura di Roma.
"Durante il processo verrà analizzata e utilizzata come prova anche la relazione della commissione prefettizia insediata col precedente prefetto (prima dell’arrivo di Gabrielli) Marilisa Magno. Il documento è stato desecretato lo scorso 2 novembre e si tratta delle mille pagine con cui la commissione prefettizia chiedeva senza mezzi termini di “sciogliere” il Comune di Roma per infiltrazioni mafiose
Sul versante processuale invece è già stata depositata dal legale di Salvatore Buzzi la lista dei testimoni di cui intende avvalersi in aula l’ex ras delle cooperative: parlamentari, ministri, sottosegretari e magistrati per un totale di 282 nomi inseriti.
L’avvocato Alessandro Diddi ha inserito personaggi del calibro di Giuliano Poletti, ministro del lavoro, gli ex sindaci Ignazio Marino e Gianni Alemanno. Poi Gianni Letta, Nicola Zingaretti, il vice ministro all’Interno Filippo Bubbico e magistrati come Raffaele Cantone e Alfonso Sabella, oltre allo stesso prefetto Gabrielli. Nella lista compare anche Luciano Casamonica, cugino del boss defunto, noto per il funerale, Vittorio
La lista andrà inevitabilmente sforbiciata dai giudici per evitare di portare il processo troppo in là nel tempo, ma da oggi si gioca la partita che metterà definitivamente un punto sul fatto che “Mafia Capitale” sia riconosciuta come associazione mafiosa.
Fonte: Linkiesta.it
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