giovedì 19 novembre 2015

Tutti i crimini di Assad a cui non dobbiamo pensare

Paolo Mieli elenca le responsabilità del dittatore siriano, che l'Occidente sarà costretto ad affrontare - a suo dire - in un altro momento

Damasco, 22 ottobre 2015 (LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)

L’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli ha scritto – in prima pagina sul quotidiano giovedì – una riflessione che prova a fare convivere un giudizio severissimo nei confronti del dittatore siriano Bashar al Assad e la necessità da parte dei paesi occidentali di aiutarlo militarmente combattendo i suoi nemici dell’ISIS. La riflessione di Mieli sembra trascurare troppo sbrigativamente il ruolo nel conflitto dei ribelli contro la dittatura, e ricorre a un paragone un po’ fragile con la situazione italiana di settant’anni fa: ma prova a ricordare efficacemente che “sarebbe da sciocchi pensare che si possa partecipare ad un’impresa così ambiziosa senza essere costretti a pagare un prezzo. Limitiamoci, per il momento, ad evitare gli eccessi indotti dal realismo politico, a non inoltrarci per sentieri che potrebbero condurci alla beatificazione del despota di Damasco”.

Veniamo, perciò, alle conseguenze sgradevoli della decisione di posticipare la questione Assad. La prima comporta l’abbandono al loro destino dei ribelli anti-Assad, quei «fantasmi» (la definizione è del ministro degli Esteri russo) sui quali Barack Obama aveva investito cinquecento milioni di dollari, ricevendone una delusione tale che già un mese fa era stata sospesa la generosa politica di aiuti. Dobbiamo poi iniziare a dimenticare (temporaneamente) come tutto ha avuto inizio: le manifestazioni di Damasco del marzo 2011, allorché gli uomini di Assad chiusero i manifestanti dentro le moschee per poi lasciarli uscire a piccoli gruppi, farli prendere a sassate e legnate da militanti baathisti e provocare in questo modo 180 morti nel giro di una decina di giorni. Dovremmo dimenticare (temporaneamente) che a novembre di quello stesso anno la Lega araba votò al Cairo una dura reprimenda contro la Siria anche in conseguenza del fatto che proprio in quei giorni, secondo un rapporto della Commissione di inchiesta indipendente dell’Onu, le forze di Assad avevano ucciso una quantità impressionante di oppositori tra i quali «almeno 256 bambini». Veniamo, perciò, alle conseguenze sgradevoli della decisione di posticipare la questione Assad. La prima comporta l’abbandono al loro destino dei ribelli anti-Assad, quei «fantasmi» (la definizione è del ministro degli Esteri russo) sui quali Barack Obama aveva investito cinquecento milioni di dollari, ricevendone una delusione tale che già un mese fa era stata sospesa la generosa politica di aiuti. Dobbiamo poi iniziare a dimenticare (temporaneamente) come tutto ha avuto inizio: le manifestazioni di Damasco del marzo 2011, allorché gli uomini di Assad chiusero i manifestanti dentro le moschee per poi lasciarli uscire a piccoli gruppi, farli prendere a sassate e legnate da militanti baathisti e provocare in questo modo 180 morti nel giro di una decina di giorni. Dovremmo dimenticare (temporaneamente) che a novembre di quello stesso anno la Lega araba votò al Cairo una dura reprimenda contro la Siria anche in conseguenza del fatto che proprio in quei giorni, secondo un rapporto della Commissione di inchiesta indipendente dell’Onu, le forze di Assad avevano ucciso una quantità impressionante di oppositori tra i quali «almeno 256 bambini».

(leggi per intero su Corriere.it)

Fonte: Il Post

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