lunedì 30 novembre 2015

Le speranze della conferenza sul clima

Una manifestazione in vista della conferenza sul clima a Kiev, in Ucraina, il 29 novembre 2015. (Valentyn Ogirenko, Reuters/Contrasto)

Bernard Guetta, giornalista

Chi sogna il grande accordo, vincolante come un trattato internazionale e capace di imporre a tutti i paesi del mondo il limite di due gradi ulteriori per l’aumento della temperatura, resterà deluso. Un successo di questo genere è altamente improbabile, e in fondo non è nemmeno l’obiettivo reale della Cop-21.

Più realisticamente, la conferenza sul cambiamento climatico potrebbe chiudersi con alcuni impegni largamente condivisi e soprattutto con la decisione di esaminare, almeno ogni cinque anni, i provvedimenti applicati dalle diverse capitali. In questo senso nei prossimi quindici giorni potremmo assistere a un passo avanti non trascurabile.

Il primo motivo per essere ottimisti è che la Cina e gli Stati Uniti vogliono un accordo. In realtà a Washington non tutti sono favorevoli, perché gran parte dei repubblicani e le lobby industriali continuano a opporsi a un’intesa sul clima. Ma Barack Obama spinge sull’acceleratore, sostenuto anche dall’opinione pubblica statunitense.

"Il costo delle energie alternative è calato dal 2013 rendendole davvero competitive rispetto ai combustibili fossili

Per quanto riguarda la Cina, Pechino ha ormai capito che rischia di avvelenare le sue grandi città e che la lotta all’inquinamento può essere l’unico fattore di contestazione politica potenzialmente rischioso.

Il secondo motivo per cui la conferenza potrebbe essere un successo è che la Francia, paese organizzatore, siede in tutte le grandi istituzioni internazionali e ha saputo avviare i dibattiti e influenzare positivamente diversi paesi e gruppi di paesi.

Il terzo motivo per credere a un esito positivo della Cop21 è che il costo delle energie alternative è calato sensibilmente dal 2013, l’anno della svolta, rendendole davvero competitive rispetto ai combustibili fossili dal punto di vista economico.

Le alternative dell’India

Per il momento è ancora troppo presto per cantare vittoria, ma il rapporto di forze appare incoraggiante. L’Europa, la Cina e gli Stati Uniti spingeranno nella stessa direzione, e non è poco. Il Brasile e il Giappone cercheranno di frenare la trattativa, ma l’Australia e il Canada sono ormai favorevoli all’accordo. L’Arabia Saudita non è evidentemente una grande sostenitrice delle energie alternative, ma in questo momento non ha interesse a contrariare gli occidentali, di cui ha profondamente bisogno in Medio Oriente. Anche la Russia, altra grande produttrice di petrolio, probabilmente non ha alcuna voglia di opporsi al blocco sino-occidentale.

Restano due punti interrogativi, l’India e l’Africa. L’India ha la possibilità di fare di testa propria, ma deve scegliere se essere l’ultimo paese a industrializzarsi come nel diciannovesimo secolo o il primo a fondare il suo sviluppo sulle energie verdi. La scelta dipenderà dai trasferimenti tecnologici che le saranno consentiti. Quanto all’Africa, è tutta una questione di soldi e aiuti internazionali, perché il continente non ha i mezzi per scegliere autonomamente un strada virtuosa. La conferenza sarà un successo? Lo scopriremo tra due settimane.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Fonte: Internazionale

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