Il marchio Nestlé è tornato alla ribalta delle cronache dall'Africa lo scorso settembre dopo una denuncia presentata dal quotidiano londinese Times.
Il Times aveva scoperto che la filiale della multinazionale svizzera nel paese dell'africa australe acquistava latte da 8 fornitori, tra cui anche la fattoria della moglie del presidente Robert Mugabe.
Nulla da dire, se non fosse che i beni di Mugabe e della sua famiglia siano sottoposti ad embargo dalla comunità internazionale, compresa l'Unione Europea. Poco dopo, le pressioni esercitate da gruppi per la difesa dei diritti umani e dalla Campagna di boicottaggio internazionale contro la Nestlé, hanno costretto la multinazionale ad interrompere le relazioni commerciali, proprio con quegli 8 fornitori.
La Campagna nasce nel 1994, per difendere l'allattamento al seno nei paesi a basso reddito. L'azienda imponeva, infatti, alle mamme africane l'abbandono del tradizionale allattamento per sostituirlo con il latte in polvere. Esistono poi i casi come quelli che riguardano la Costa d'Avorio e le denuncie (nel 2005), contro l'uso di minori ridotti in schiavitù nelle piantagioni di cacao. Ma l'attività della contestata multinazionale elvetica in Africa è molto più ramificata e radicata.
Nestlé ha iniziato ad operare nel continente nel 1927 e oggi conta 27 aziende che impiegano più di 11.500 persone in diversi paesi. Dal sito della multinazionale, appare evidente la volontà di mettere in luce l'immagine di un'azienda impegnata nello sviluppo e nella ricerca a favore delle popolazioni locali: «Siamo diventati una fonte di stabilità e di crescita economica per l'Africa» scrive di sé nel suo sito... E' davvero così?
Fonte: Nigrizia
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