giovedì 10 dicembre 2015

Tutti assolti per il “sistema Sesto”

Fu una grossa inchiesta da titoloni e prime pagine, in primo grado è finita in nulla: Filippo Penati e altri 10 imputati sono stati assolti perché il fatto non sussiste


Filippo Penati e altri 10 imputati, tra cui una società, sono stati assolti in primo grado perché “il fatto non sussiste” dal tribunale di Monza nel processo sul cosiddetto “sistema Sesto”, in cui agli imputati erano contestate – a vario titolo – le accuse di corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Tra gli imputati assolti ci sono anche gli imprenditori Piero Di Caterina e Giuseppe Pavini, l’architetto Renato Sarno e Bruno Binasco del gruppo Gavio. Per Penati l’accusa aveva chiesto una condanna a quattro anni di reclusione. «Con questa sentenza si è messa fine ad un’ingiustizia durata quattro anni e mezzo», ha detto Penati. «Esce pulita la mia immagine di amministratore ed è stata restituita la mia onorabilità».

L’inchiesta iniziò nel luglio 2011 quando la Guardia di Finanza fece una serie di perquisizioni, tra cui quella nell’ufficio di Filippo Penati che a quel tempo era un importante dirigente del Partito Democratico e vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. Il giorno dopo Penati si auto-sospese e cinque giorni dopo, il 25 luglio, lasciò ogni carica nel PD (da cui sarà poi sospeso) e si dimise dalla vicepresidenza del Consiglio.

Le vicende che coinvolgevano Penati erano principalmente due. La prima faceva riferimento a un’area del comune di Sesto San Giovanni definita “area Falck” o “area ex Falck”, dal nome delle acciaierie che una volta vi avevano sede. Come sindaco di Sesto fino al 2001, Penati secondo le accuse avrebbe favorito alcuni privati e società (tra cui la Caronte srl dell’imprenditore Piero Di Caterina) concedendo permessi edili in cambio di denaro e finanziamenti. C’era poi una vicenda più ampia che riguarda la cosiddetta “operazione Serravalle”: la provincia di Milano aveva acquistato nel 2005 il 15 per cento della società che possiede l’autostrada A7 Milano-Serravalle dall’imprenditore Marcellino Gavio, azionista di minoranza, facendogli incassare in pochissimo tempo una plusvalenza pari a 179 milioni. L’affare secondo l’accusa sarebbe stato accompagnato dal versamento di una tangente a favore di Penati e del suo capo di gabinetto, Giordano Vimercati.

Il processo era iniziato nel marzo 2013. Due mesi dopo, e in base alla cosiddetta riforma Severino, era stata dichiarata la prescrizione per il reato di concussione legato alle presunte tangenti ricevute per la vicenda “area Falck”, una delle questioni centrali dell’inchiesta. Penati non aveva rinunciato perché non era stato trovato al telefono dal suo avvocato (al momento della richiesta, Penati non era presente nell’aula del tribunale di Monza, l’udienza era stata sospesa e l’avvocato di Penati era uscito per contattarlo. Quando era rientrato in aula aveva detto: «Penati non c’è e io non posso al momento assumere la responsabilità di una sua decisione a riguardo»). La prescrizione per il reato di concussione era stata confermata a febbraio 2014 anche dalla Cassazione. Questo aveva portato all’uscita dal procedimento alcuni imputati e all’alleggerimento delle posizioni di diversi altri. Le accuse rimaste in piedi erano quelle di corruzione e finanziamento illecito ai partiti relative alla Milano-Serravalle.

Dopo la prescrizione, la posizione di Penati era stata unificata con quella degli altri imputati: il processo era cominciato il 26 giugno del 2013. In tutta questa storia si inserisce l’architetto Renato Sarno: secondo gli atti della procura, Sarno era il “collettore di tangenti” per conto di Penati e della sua fondazione “Fare Metropoli”, era cioè la persona che avrebbe raccolto denaro per Penati. Sarno è anche la persona a cui faceva riferimento una delle prove più note dell’inchiesta: un file Excel trovato nel suo computer durante una perquisizione con un elenco di nomi e cifre per più di un milione di euro relative agli anni 2008 e 2009. Per l’accusa si trattava della contabilità dei soldi incassati per finanziare Penati. Sarno era stato arrestato nell’ottobre del 2012. Dopo cinque mesi, a marzo, era stato scarcerato, definendo con la procura il patteggiamento. Nel giugno del 2013 aveva rinunciato al patteggiamento e aveva deciso di sottoporsi a processo.

A gennaio del 2015 però Renato Sarno ha completamente ritrattato quanto dichiarato nell’interrogatorio del 4 febbraio 2013. Ha smentito che Penati gli abbia detto, come messo a verbale due anni prima, di aver dovuto comprare le azioni della Serravalle dal gruppo Gavio e ha negato che Penati gli disse di essere obbligato a concludere quell’operazione «perché l’acquisto», avrebbe detto Penati, «mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D’Alema». Sarno ha anche spiegato il motivo della sua ritrattazione: «Furono dichiarazioni figlie di un mio stato psicologico deteriorato. Non le confermo. Ero in carcere per un’imputazione [la presunta tangente ricevuta da Edoardo Caltagirone per il recupero di un’area della ex Falck] ma era come se fossi detenuto per altre questioni. Ero in uno stato di pena e disagio». Sarno ha detto di essere stato interrogato «in manette».

Per quanto riguarda il file Excel trovato nel suo computer, Sarno aveva detto: «Quelle somme sono semplici finanziamenti che ho raccolto per la campagna elettorale tra gli imprenditori con cui avevo rapporti professionali. L’ho fatto per Penati come, in altre occasioni, per la comunità di don Mazzi, o alcune iniziative in Africa». Al termine dell’udienza, Filippo Penati aveva dichiarato: «Anche oggi si sta confermando che questo è un processo basato unicamente sulle dichiarazioni dei miei due presunti accusatori, Piero Di Caterina (imprenditore dei trasporti) e Giuseppe Pasini (costruttore). Le loro si stanno dimostrando accuse false e contraddittorie. Dalle indagini, che sono state molto lacunose, non è emersa alcuna prova contro di me».

Fonte: Il Post

1 commento:

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Sono allibito sia per questa notizia che per quella precedente sull'Ilva di Taranto. Ora, a parte la vicenda Penati che sembrerebbe aver fatto leva soprattutto su confessioni e testimonianze e pertanto forse più labili di prove documentali concrete, devo però osservare come molti processi legati a grandi inchieste poi smentiscano le inchieste stesse portando spesso ad assoluzioni. Ora, mi chiedo se abbiamo dei PM scarsi per cui non sanno da un'indagine chiara trovare le prove atte ad inchiodare senza possibilità di appello (salvo quello giuridico) i cattivi, oppure se sono i magistrati giudicanti che proprio fanno l'impossibile per assolverli...