giovedì 24 dicembre 2015

Le notizie mediche più importanti del 2015

Nuovi sistemi di prevenzione contro l'AIDS, l'importanza dell'effetto placebo e un sistema per fermare la leucemia cronica, tra le scelte del New Yorker

(Christopher Furlong/Getty Images)

Le nuove scoperte nella medicina sono spesso comunicate dai media con toni sensazionalistici e semplificazioni, che in molti casi rischiano di creare false speranze soprattutto tra le persone con particolari malattie e direttamente interessate da quelle notizie. Non ci sarà un momento esatto in cui potremo dire “è stata scoperta la cura contro il cancro”: la ricerca scientifica è fatta di processi complicati e lunghi, di errori e scoperte inattese, e procede quasi sempre per gradi. Per questo motivo è praticamente impossibile dire con certezza quali siano state le notizie mediche più importanti dell’ultimo anno: alcune si riveleranno tali tra anni e non è nemmeno detto che accada. Nonostante la difficoltà Jerome Groopman, che da anni scrive di medicina sul New Yorker, ha messo insieme le cose che in ambito medico e della biologia lo hanno colpito di più quest’anno e che hanno le potenzialità per diventare qualcosa di importante e che in ultima istanza ci migliorerà la vita. É una selezione personale ma è interessante, per capire cosa si sta muovendo e come.

Rianimazione cardio-polmonare
Uno studio realizzato quest’anno in Svezia, e pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha ribadito l’importanza di un pronto intervento nel rianimare le persone che stanno avendo un attacco cardiaco: prima si interviene e più alte sono le probabilità di sopravvivenza e di un buon recupero. La ricerca ha evidenziato che nel caso di un attacco cardiaco trattato immediatamente da qualcuno, in attesa dell’arrivo dell’ambulanza, il tasso di sopravvivenza a 30 giorni dall’attacco è del 10,5 per cento, rispetto al 4 per cento nel caso in cui non sia effettuato alcun primo soccorso.

L’importanza della rianimazione cardio-polmonare nei primi momenti dopo un episodio cardiaco è riconosciuta da tempo da buona parte delle più importanti organizzazioni sanitarie al mondo, e in molti paesi sono sempre più diffusi i kit che servono per rianimare qualcuno con defibrillatori automatici. Altre ricerche suggeriscono di creare sistemi per rintracciare facilmente le persone che sono in grado di praticare la rianimazione, grazie ai corsi di primo soccorso che hanno seguito. Una proposta è realizzare applicazioni per smartphone che consentano di chiedere aiuto a queste persone, in attesa dell’arrivo dell’ambulanza.

Rallentare la diffusione dell’HIV
Grazie allo sviluppo e alla diffusione dei farmaci antivirali, soprattutto alla fine degli anni Novanta, l’aspettativa di vita delle persone con AIDS – la malattia causata dal virus HIV – è aumentata sensibilmente, ma resta ancora molto da fare sul fronte della prevenzione per ridurre il numero di contagi. Quest’anno presso l’Hôpital Saint-Louis di Parigi, in Francia, il ricercatore Jean-Michel Molina ha condotto uno studio clinico per valutare gli effetti degli antivirali se assunti prima e dopo un rapporto sessuale non protetto, il principale mezzo di trasmissione dell’HIV. Lo studio è stato realizzato grazie alla collaborazione di 400 volontari: dopo nove mesi, sono stati rilevati 14 nuovi casi di HIV nel gruppo di controllo, costituito da 200 persone cui è stato dato un placebo e non l’antivirale, mentre nel gruppo delle restanti 200 persone che hanno assunto il farmaco sono state registrate solo due nuove infezioni. Studi come questi sono importanti perché sensibilizzano sul tema delle precauzioni da prendere per evitare il contagio, e spesso influenzano le stesse decisioni politiche assunte dai governi per contrastare l’AIDS e la sua diffusione.

Virus Zika
Quest’anno lo Zika, un virus di cui si parla poco, è stato identificato in Brasile e successivamente in Colombia e nel Suriname. È trasmesso dalle zanzare, fu scoperto per la prima volta nel 1947 nella foresta Zika in Uganda, ma nel Novecento sono stati registrati con certezza solamente 15 casi di persone che hanno contratto il virus, tutte in Africa e nel Sud-est asiatico. Le cose sono iniziate a cambiare e a farsi preoccupanti nel 2007, quando in Micronesia il virus ha avuto una grande diffusione: le autorità sanitarie locali stimano che circa tre-quarti della popolazione abbia sviluppato gli anticorpi per contrastarlo, prova indiretta della presenza del virus. La sua diffusione è proseguita negli anni seguenti e si stima che il virus arriverà presto in America Centrale e nella zona dei Caraibi, poi potrebbe farsi strada negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali.

Lo Zika è un parente della dengue e della febbre gialla: le persone che lo contraggono, se si ammalano, devono essere spesso trattate in ospedale e talvolta soffrono di complicazioni, soprattutto all’apparato nervoso. Per rallentare la diffusione del virus si è provato un po’ di tutto, soprattutto l’uso intensivo di insetticidi per uccidere le zanzare che lo trasportano. Sono in corso ricerche per affinare tecniche per ridurre la popolazione delle zanzare: la più promettente, e già sperimentata altrove, prevede l’utilizzo dell’ingegneria genetica per rendere sterili i maschi.

Mutazioni alleate
Quasi dieci anni fa un gruppo di ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis, Missouri, notò che chi aveva una variante del gene PCSK9 aveva livelli molto bassi di colesterolo “cattivo” (LDL) e, di conseguenza, un rischio più basso di sviluppare malattie cardiovascolari. Sulla base di quella ricerca e degli studi successivi, quest’anno negli Stati Uniti è stata approvata la messa in vendita di un farmaco che imita gli effetti del gene mutato, portando a importanti benefici per le persone che soffrono di colesterolo alto. È un risultato importante perché conferma il crescente interesse della ricerca verso la possibilità di sfruttare le mutazioni genetiche, invece di contrastarle come si era pensato di fare inizialmente dopo la completa mappatura genetica del DNA umano.

Tagliare le comunicazioni al cancro
La leucemia linfatica cronica (LLC) è un tipo di cancro piuttosto diffuso, che riguarda soprattutto le persone anziane e che talvolta si manifesta anche nei giovani. Ha un inizio lento ma può poi degenerare rapidamente causando danni a fegato, milza e midollo osseo, inibendo la normale produzione di cellule del sangue. La malattia viene di solito contrastata con la chemioterapia, i cui effetti però svaniscono in media nel corso di un anno dalla fine del ciclo di somministrazione del farmaco. Quest’anno un gruppo di oncologi ha annunciato di avere trovato il modo per contrastare la LLC intervenendo sui sistemi di comunicazione delle cellule, che attraverso diverse molecole decidono cosa fare e non fare passare attraverso le loro membrane che le riparano dall’esterno.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine: sfruttando gli effetti di un farmaco che si chiama ibrutinib, e che interferisce con una delle molecole lungo le membrane cellulari, si possono rallentare e contrastare gli effetti della LLC. La cosa notevole è che gli effetti ottenuti con un ciclo di ibrutinib durano più a lungo rispetto ai sistemi tradizionali. Questo approccio era stato seguito già in passato per altri tipi di tumore, ma con scarsi risultati perché spesso non è sufficiente sbarrare una strada verso l’interno delle cellule per fermare la moltiplicazione di quelle nocive. Il caso della LLC sembra essere molto promettente perché ha portato risultati fermando un solo sistema di comunicazione cellulare.

Riprodurre le ricerche
Nell’estate di quest’anno la Open Science Collaboration, un’organizzazione che ha l’ambizioso obiettivo di riprodurre i risultati delle ricerche scientifiche per verificarne l’affidabilità, ha annunciato di avere riprodotto una selezione di alcuni famosi studi di psicologia sociale e cognitiva senza essere in grado di ottenere gli stessi risultati in due terzi dei casi. Questo non significa che le ricerche originali fossero state condotte malamente o con qualche artificio, ma semplicemente che in molti casi è necessario prendere con cautela e un po’ di scetticismo gli annunci sugli esiti degli studi scientifici. Una precauzione di questo tipo deve valere soprattutto per quanto riguarda gli studi nella psicologia, i cui risultati sono spesso ingigantiti o travisati dai media quando ne danno notizia, contribuendo alla confusione e alla costruzione di falsi miti.

Placebo
Ted Kaptchuk della Harvard Medical School è uno dei più grandi esperti di effetto placebo al mondo. Nel corso della sua carriera ne ha messo in evidenza pregi e difetti in numerose ricerche che spaziano in diversi ambiti della scienza medica. Quest’anno, insieme a un gruppo di colleghi, ha pubblicato una ricerca sul fatto che alcune persone siano geneticamente predisposte o resistenti all’effetto placebo. Dipende da alcuni geni che hanno il compito di regolare le molecole che influenzano il nostro umore e i comportamenti tesi a raggiungere particolari obiettivi. In un’altra ricerca, Kaptchuk ha indagato invece i risvolti etici della somministrazione dei placebo decisa dei medici nel caso di malattie croniche, per le quali non esiste una cura. Tra gli aspetti più interessanti, emerge che non è il solo gesto di ingoiare una pillola – che in realtà non fa nulla – a stimolare l’effetto placebo, ma anche il rapporto stretto e di fiducia con il medico o il terapista che segue il paziente.

Fonte: Il Post

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