giovedì 25 marzo 2010

Il mistero del Lambro


INQUINAMENTO. Nel fiume potrebbero essere finite anche sostanze tossiche. La Lipu: «Nello stomaco degli uccelli non c’erano tracce di idrocarburi ma i volatili avevano emorragie agli organi e il fegato spappolato».

E' passato esattamente un mese dallo sversamento di idrocarburi nel fiume Lambro. Erano le tre e mezza di notte dello scorso 23 febbraio, quando dalle cisterne della Lombarda Petroli, migliaia di metri cubi di idrocarburi finiscono nel vicino corso d’acqua. La magistratura ipotizza un atto doloso, effettuato da persone esperte che sapevano dove mettere le mani. Perché le valvole andavano azionate in una precisa sequenza, da un apposito quadro elettrico in grado di attivare le pompe. Non si trattava quindi di aprire un semplice rubinetto.

Ora, un mese dopo, a quel disastro ambientale se ne sarebbe aggiunto un altro. Oltre al combustibile, pare che nel fiume siano finite anche altre sostanze tossiche, prodotti chimici il cui corretto smaltimento costa fior di quattrini. Le autopsie condotte dalla Lipu (Lega italiana per la protezione degli uccelli) sugli animali morti, sembrano confermare questa ipotesi. Perché i risultati sono alquanto anomali. Nello stomaco dei volatili, infatti, non sono state trovate tracce di idrocarburi. Gli animali presentano invece emorragie a vari organi, problemi neurologici, il fegato completamente spappolato. Segnali di un avvelenamento chimico diverso dal semplice contatto con il petrolio.

«Abbiamo applicato protocolli internazionali che si usano in tutto il mondo - spiega Massimo Soldarini della Lipu - portando gli animali al Centro recupero uccelli marini ed acquatici di Livorno, diretto da un veterinario che nel 2002 è stato une mese in Galizia, in seguito all’incidente della petroliera Prestige. In quell’occasione ha trattato oltre 3.000 uccelli che poi sono stati quasi tutti liberati: con una percentuale superiore al 90 per cento. Invece - denuncia Soldarini - quelli del Lambro sono morti tutti. E gli uccelli sono tra i migliori indicatori di qualità ambientale, quindi se muoiono significa che qualcosa non va. E scoprire cosa è importante anche per la nostra stessa sopravvivenza». I risultati delle autopsie sugli animali non sono le uniche anomalie. Una settimana dopo il suo intervento, il capo della Protezione civile Guido Bertolaso dichiara chiusa l’emergenza.

Bertolaso rassicura la popolazione, spiegando che è stato recuperato circa il 70 per cento degli idrocarburi sversati. Ma poche ore prima il governatore della Regione Veneto, Giancarlo Galan, vieta l’uso dell’acqua del rubinetto. Denunciando che sul Delta del Po (a Porto Tolle e Adria) è stato trovato del dicloroetano. Un solvente chimico, molto tossico, cancerogeno e nocivo anche per le vie respiratorie, usato per la pulizia dei materiali ferrosi. «I dicloroetani - spiega poi Galan - non c’entrano con gli idrocarburi. È evidente che qualche sciacallo ne ha approfittato». Ma poche ore prima dell’annuncio di Bertolaso, l’Arpa del Veneto smentisce le sue stesse analisi, parlando di un errore. Nel frattempo anche sul Lambro vengono avvistate strane chiazze blu, in seguito smentite dalle autorità.

«Una delle ipotesi - afferma Soldarini - è che dall’ex raffineria sia uscito un mix di sostanze chimiche, molto costose da smaltire. Anche perché gli idrocarburi conveniva venderli e non buttarli in un fiume». Poi c’è il problema della quantità finita nel fiume. Per l’Arpa e la Regione Lombardia sono 2.600 tonnellate, per Brianza Acque 2.800. In ogni caso poco sopra le 2.500 tonnellate che in base alla Direttiva Seveso un impianto può stoccare senza particolari misure di sicurezza.

Ma la Protezione civile ha comunicato di avere recuperato dallo sbarramento di Isola Serafini (Piacenza) 1.800 tonnellate, lasciandone in acqua circa 600. Cui si aggiungono le 2.615 trattenute nel depuratore di Brianza Acque, pari al 70 per cento del totale. Ma già sommando questi dati alla fine nel Lambro sarebbero finite qualcosa come 5mila tonnellate.

Fonte: Terra news

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