sabato 13 marzo 2010

Gas radon, prima del terremoto può diminuire o aumentare

Una scoperta firmata da studiosi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Università Roma Tre (Paola Tuccimei, Silvio Mollo, Sergio Vinciguerra, Mauro Castelluccio, Michele Soligo) ha permesso di isolare i meccanismi fondamentali che determinano la diminuzione e l’aumento del rilascio del gas radon prima di un terremoto. Il lavoro in fase di pubblicazione su Geophysical Reaserch Letters (GRL) è stato finanziato dal progetto TRIGS (www.trigs.eu), sotto il sesto programma quadro della Commissione Europea e del “New and Emerging Science and Technology Pathfinder”. Il lavoro spiega che la diminuzione di gas radon può essere il precursore di processi di fratturazione e quindi anomalie negative di rilascio di gas dovrebbero essere considerate indicatrici di imminenti rotture.

A Sergio Vinciguerra, coautore della ricerca facciamo alcune domande:

Dalla vs ricerca risulta che la deformazione e la rottura di rocce durante un terremoto può portare sia alla diminuzione che all’aumento del radon. Ci può spiegare la dinamica di questi due fenomeni apparentemente contraddite?
A differenza di quanto comunemente si ritiene, particolarmente alla luce dei recenti dibattiti sul terremoto de L’Aquila, oltre che ad aumenti di emissione di radon prima di un evento sismico si è spesso osservate ad anomalie negative, cioè diminuzioni di emissione, in diversi contesti geologici.

E’ noto che le rocce hanno un contenuto molto variabile di porosità (cioè dei vuoti al loro interno). Quelle rocce, come basalti o graniti ad esempio, che contengono piccolissime quantità di vuoto sottoposte a un carico daranno luogo a rotture con aumento di emissione del radon. Ma in tantissimi casi, sia in aree vulcaniche (basti pensare ai tufi) che in zone di faglia (ad es. arenarie e conglomerati o molte rocce carbonatiche) le rocce contengono un alta percentuale di vuoti, spesso superiore anche al 30%. Queste rocce sottoposte a carico ‘imploderanno’ chiudendo inizialmente i vuoti disponibili, fino a che raggiunta una soglia di densificazione critica, si assisterà alla formazione di fratture. In termini di rilascio di gas, come il radon, questo si tradurrà inizialmente in una diminuzione di emissione (meno vuoti, meno spazi per i gas) e soltanto quando si formeranno fratture, che rappresentano nuove ‘vie’ per i gas, l’emissione di radon aumenterà rispetto al suo valore di fondo.

In conclusione sono stati isolati i meccanismi fisici nelle rocce responsabili della diminuzione e dell’aumento dell’emissione di radon osservati sul terreno prima di eventi sismici o vulcanici.

Come avete effettuato le prove di laboratorio che vi hanno portato a queste conclusioni?
Si è misurata l’emissione del radon con un radonometro dotato di un detector per particelle alfa, appartenente all’Università di Roma3.

I campioni sono stati deformati con una pressa uniassiale acquisita con il progetto europeo TRIGS e appartenente al laboratorio HP-HT dell’INGV di Roma 1, presso cui sono state effettuate anche le analisi al microscopio elettronico.

Sono stati studiati campioni di tufo rosso a scorie nere proveniente dall’apparato vulcanico di Vico (Lazio). Questa litologia presenta alta concentrazione di radon e una porosità iniziale del 47% (in termini pratici metà della roccia è costituita da vuoti). Si è quindi misurata l’emissione naturale di radon e il cambiamento dopo cicli di carico crescente. La struttura del campione collassa sotto carico riducendo l’emissione di radon, ma a una soglia critica di densificazione appaiono delle fratture che determinano una impennata nel rilascio dello stesso.


La vostra scoperta può essere utilizzata come un segnale premonitore di evento sismico?
La nostra scoperta ha permesso di isolare i meccanismi fondamentali che determinano la diminuzione e l’aumento dell’emissione di radon prima dei processi di rottura, che avvengono durante terremoti o eruzioni vulcaniche. Stiamo estendendo l’analisi ad altre litologie con diversi contenuti di vuoti per studiarne l’emissione di radon in funzione del carico applicato. Questo ci permetterà nei prossimi anni di sviluppare un modello per i cambiamenti di emissione di radon osservati e fornire un supporto quantitativo all’interpretazione delle anomalie di questo gas prima di eventi sismici e vulcanici. Colgo l’occasione per precisare che solo attraverso l’integrazione di studi sistematici, come questo, di un fitto monitoraggio del radon e degli altri segnali precursori e una conoscenza dettagliata del contesto geologico, che il nostro istituto ha sviluppato negli anni è possibile giungere al riconoscimento di segnali premonitori, con bassi margini di errore.

Il Professor Enzo Boschi, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sottolinea che il terremoto è una frattura delle rocce che costituiscono la crosta terrestre. Alla frattura si arriva in seguito ad un lungo processo di deformazione di quella che sarà la zona epicentrale. La deformazione provoca variazioni delle proprietà fisiche e chimiche delle rocce.

Queste variazioni sono chiamate fenomeni “precursori” perché talvolta precedono un terremoto. Il loro studio è fondamentale per capire come avviare il processo di deformazione. Tale processo è strettamente connesso alla dinamica interna molto energetica del nostro Pianeta. Quindi lo studio dei fenomeni precursori può farci capire come funziona la Terra. In questo senso il lavoro è un progresso fondamentale.

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