giovedì 3 dicembre 2015

La rivoluzione nel Pd? Può farla solo la Boschi

Renzi ha annunciato che nel 2016 la sua missione sarà cambiare il Partito Democratico. E per farlo, deve giocare la sua carta migliore

di Francesco Cancellato

Franco Origlia/Getty Images

Andiamo con ordine: Matteo Renzi ha annunciato che a partire dal prossimo febbraio rivoluzionerà il Partito Democratico, vero tallone d'Achille della sua parabola politica, perlomeno sinora. Il calo verticale degli iscritti, la debolezza della classe dirigente locale, le difficoltà a trovare candidati adeguati per le amministrative, lo strapotere dei “cacicchi”, soprattutto al Sud sono solo la punta dell'iceberg di un problema più grande. Più precisamente, la difficoltà nello scindere l'azione di governo dal ruolo del principale partito che lo sostiene, dilaniato dalle faide tra correnti interne e incapace di dare un’idea di sé che non sia, alternativamente, quella della totale subalternità al premier o della sua totale alterità rispetto al “Partito di Renzi”, sia esso quello della Leopolda o quello che fa accordi con Verdini. Più che una riorganizzazione interna, insomma, serve una leadership forte e discontinua, in grado, se non di rappresentarne le diverse anime, perlomeno di dare al Partito un’autorevolezza e un’autonomia ormai ridotta al lumicino, senza tuttavia legittimare le fronde interne.

Per questo, forse, il nome giusto per guidare la “rivoluzione” potrebbe essere quello di Maria Elena Boschi. Le ragioni sono molteplici. La prima è il profilo pubblico che la giovane ministra alle riforme si è guadagnata sul campo in questi anni di Governo. Se un giornale autorevole come Politico le dedica un ritratto e la iscrive tra i 28 leader politici più influenti in Europa è una prova inequivocabile della sua forza mediatica e della sua crescita. Di cui l'ascesa alla segreteria del Partito Democratico non sarebbe che l’attestazione formale.

In secondo luogo, perché il suo profilo è l'emblema del renzismo pur brillando ormai di luce - politica e mediatica - propria. In altre parole, una garanzia sia per Renzi, sia - almeno in parte - per chi da Renzi non si sente del tutto rappresentato. Soprattutto, particolare non secondario, perché la storia politica della Boschi nasce più a sinistra di quella del premier. Va ricordato che alle famose primarie per il Sindaco di Firenze - quelle che Renzi vinse e da cui tutto ebbe inizio - la Boschi sosteneva il dalemiano Michele Ventura. Sui diritti civili e su molte altre partite, ad esempio, un Partito Democratico a guida Boschi potrebbe anche costituire un pungolo per l'azione governativa.

Terzo motivo: è donna ed è giovane, segnali simbolici non irrilevanti in una politica che per decenni è stata maschile e gerontocratica. Per un partito come il Pd, che proprio tra i giovani perde consensi, una leader come Maria Elena Boschi potrebbe essere un primo passo di riavvicinamento a un elettorato che è sempre stato, storicamente, legato al più grande partito di centrosinistra. Non basta, ovviamente, se l'azione governativa sarà - com'è stata in questi anni - maggiormente volta a sostenere i ceti medi e le generazioni più anziane. Però può aiutare.

"Che un giornale autorevole come Politico le dedichi un ritratto e la iscriva tra i 28 leader politici più influenti in Europa è una prova inequivocabile della sua forza mediatica e della sua crescita. Di cui l'ascesa alla segreteria del Partito Democratico non sarebbe che l’attestazione formale

Il motivo più importante, tuttavia, sta nelle caratteristiche che hanno reso la Boschi rispettata (e temuta) in questi mesi. La sua capacità di gestire dossier complessi, ad esempio, la rende perfetta per una sfida non certo semplice. Così come la sua capacità di trattare e di mediare che chi l'ha vista azione - sia nell'iter della riforma elettorale e costituzionale, ma anche quando si è trattato, ad esempio, di ricucire lo strappo tra il governo e l'Associazione Nazionale Magistrati - può testimoniare.

Infine, gioca a sua favore l'agenda politica del prossimo anno. Il suo compito al governo, una volta approvata definitivamente la riforma istituzionale, può dirsi terminata. La madre di tutte le battaglie, nel 2016, sarà il referendum confermativo. E chi meglio della madre di quella riforma può guidare la campagna referendaria per portarla definitivamente in porto?

Fonte: Linkiesta.it

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