domenica 3 gennaio 2010

Buste di plastica verso l’estinzione: stop dal 2011

Le buste di plastica entrano nel loro ultimo anno di vita. Dal primo gennaio 2011, infatti, la Finanziaria del 2007 vieta la produzione e la commercializzazione di sacchetti per la spesa non biodegradabili perché troppo inquinanti e pericolosi per l’ambiente.
La norma sarebbe dovuto entrare in vigore venerdì, ma a luglio un emendamento al dl Anticrisi ha rinviato la sentenza di dodici mesi. I danni che in meno di trent’anni hanno prodotto alla salute del pianeta sono incalcolabili. Nel mondo ne vengono prodotti ogni anno circa cinquecento miliardi per una “vita media” di meno di mezz’ora e di tempi di smaltimento, calcolati dagli ambientalisti, sono di dieci-venti anni.
In Italia se ne producono ogni anno per trecentomila tonnellate, l’equivalente di circa duecentomila tonnellate di Co2 immesse nell’atmosfera. Ne usiamo ogni anno quattro miliardi e nelle nostre discariche finiscono quasi due milioni di tonnellate di plastica. Dal 2011 si passerà ad altri contenitori più rispettosi dell’ambiente.

4 commenti:

Bobby Jean ha detto...

Complimenti per il blog!

@enio ha detto...

quando si dice che la sfiga ci vede bene, allora si è nel giusto? Munnezza, liquami tossici, camorra e adesso rischio idrogeologico... ma questo è comune a tutta l'Italia, vedessi dalle mie parti !

Edoardo Vigna ha detto...

Molto interessante. Vi mando l'ultimo post dal mio blog http://globalist.corriere.it/ che offre un'opzione alternativa...



"In India non sono una novità: a Mumbai, già nel 2005 mi è capitato di vederli spesso, adottati anche da negozi per turisti ed élite locale come Fabindia. Ora arrivano in Europa, complice la terra bruciata che si sta formano intorno alle buste di plastica e la facilità di ordinarli on line: parlo dei sacchetti per lo shopping fatti di giornali riciclati, più resistenti di quanto si pensi grazie a un’anima di carta da imballaggio, con manici di semplice corda o di juta. Se ne trovano su The India Shop (che appartiene alla Fair Trade Organization) e su Thefairtradestore.co.uk, e costano più o meno lo stesso: 35 centesimi di euro l’uno, se ne comprate una ventina. In Italia, a Varese, per fare un esempio, l’Enoteca San Vittore usa quelli lunghi in “formato bottiglia” che ordina alla ong Karm Marg.

In tutto il pianeta fioriscono le messe al bando per la plastica inquinante, a cominciare da quella delle borse per la spesa. Se l’Italia ha ottenuto dall’Ue di rinviare di un anno il divieto che sarebbe dovuto partire il 1° gennaio, in Europa si va avanti. E non solo. Già da tempo, tra gli altri, Irlanda, Bangladesh, Hong Kong, Sud Africa, Uganda, Cina hanno stabilito che sono fuorilegge o pesantemente tassati. Il divieto è cominciato con quelli più sottili, quelli più “spessi” sono tassati. L’India è uno dei battistrada: il lunedì prima di Natale, lo stato dell’Himachal Pradesh ha avviato una grande campagna di raccolta, coinvolgendo ong, gruppi ambientalisti e giovanili di 56 città e 17.500 villaggi, per arrivare a uno smaltimento corretto dei vecchi sacchetti di politilene. A Pune, il 25 dicembre, 321 commercianti hanno beccato una salatissima multa di 1.170 euro per averli ancora utilizzati. A Chennai, il sindaco M. Subramanian ha personalmente distribuito 1.500 sacchetti di giornali riciclati sulla Marina cittadina nella campagna di sensibilizzazione “spiaggia plastic-free”.

Non sempre il “no” alle buste di plastica arriva senza resistenze. Se Berkeley, la cittadina universitaria della California è pronta a introdurlo integralmente da febbraio, a Brownsville in Texas c’è battaglia in consiglio municipale: sono diversi gli oppositori che sostengono “sia meglio puntare sull’educazione dei cittadini che su un obbligo di legge”.

Per il dopo-sacchetti, ovviamente, si sta già sviluppando una fiorente industria di “plastica biodegradabile”. Intanto, però, i sacchetti di carta da giornale riciclata si diffondono come un’alternativa che ha il valore supplementare di sostenere i progetti e le persone che stanno dietro le organizzazioni non governative che li producono. Karm Marg, a New Delhi, dà alloggio e istruzione a 49 ragazzi e ragazze all’anno commercializzando sacchetti (ma anche cartoleria varia) in tutto il mondo con il marchio Jugaad (termine hindi che significa raggiungere un obiettivo con le sole risorse che si hanno a disposizione); l’ong che vende attraverso The India Shop, avviata 5 anni fa da bambini di strada, finanzia con questi sacchetti di giornali riciclati la cura di 13 bimbi ogni anno.

E per i più "estremisti" - contrari anche al sacchetto di carta riciclata, favorevoli solo alla spesa fatta con buste riutilizzabili di materiali naturali come la juta – ci sono organizzazioni come Freeset, che creano borse anche riciclando la stoffa di vecchi sari, gli abiti delle donne indiane. Con questa attività dà lavoro e istruzione a 140 donne di Kolkhata, l’ex Calcutta, salvate dal quartiere a luci rosse di Sonagacchi, il più grande della megalopoli: dove i neozelandesi Kerry e Annie Hilton, nel ’99, hanno trasformato un bordello in una fabbrica che ha dato nuova speranza a ragazze, come le bengalesi Menaka e Bashanti (nomi di fantasia), messe in vendita bambine e destinate a un futuro di violenza e disperazione. E ora più forti grazie a un semplice sacchetto riciclato."

Andrea De Luca ha detto...

grazie per i complimenti Stefania. E grazie per il tuo contributo informativo Edoardo