Sembra tutto uguale ad un anno fa, alla rivolta degli immigrati africani ed alla "caccia al nero" di una parte dei rosarnesi, di un anno fa; ma non è così, qualcosa, lentamente sta cambiando, questo 2010 non è passato invano. Quella rivolta aveva reso evidente non solo il problema delle condizioni di vita dei giovani immigrati ed il loro sfruttamento lavorativo: ma anche il ruolo della ‘ndrangheta, il suo controllo del territorio; e la volontà degli immigrati di non voler piegare sempre la testa, in poche parole, aveva fatto salire agli "onori" della cronaca, la rivolta di chi era sfruttato e l'intolleranza di chi se ne approfittava del loro lavoro sottopagato.
C'era voluta la rivolta per far scattare una scintilla: la coscienza degli immigrati e la loro volontà di organizzazione. C'era voluta la rivolta per far emergere la criminalità e la sua violenza che cercava di coinvolgere i cittadini di Rosarno contro i ragazzi di colore, distruggendo anche i tavoli della mensa di Mamma Africa che assisteva da anni i giovani immigrati.
Accorsi i giornalisti e le telecamere, quasi prima di Polizia e Carabinieri, si è capito finalmente che esistono in Italia tante Rosarno, tanti luoghi di sfruttamento in nero di persone immigrate. Ma che esistono, ovunque ed anche a Rosarno, tanti cittadini che sottoposti al controllo della ‘ndrangheta e della politica locale ad essa legata, hanno tanta voglia di liberarsene. I segnali sono arrivati e sono importanti: non ultima l'elezione di una donna, Elisabetta Tripodi, proveniente dalla società civile, a sindaco di Rosarno, guidando una coalizione di Centro sinistra che sulla legalità, il ritorno a politiche di accoglienza e contro la violenza ma anche contro lo sfruttamento, ha fatto la sua campagna elettorali raccogliendo, lei donna in terra di Calabria, un ampio consenso elettorale.
Ma anche gli arresti nei clan Bellocco e Pesce, compreso i capi delle famiglie, i boss della piana di Rosarno e Gioia Tauro, anche quei ragazzotti dei Bellocco che, dopo aver visto sgomenti, il coraggio dell'oltraggio quando le loro auto di lusso erano stati presi di mira dagli immigrati, avevano scatenato la caccia al "nero" di Rosarno. Decimati i clan della ‘ndrangheta, è spuntata anche una collaboratrice di giustizia, per di più una stretta parente del clan più potente: e poi i sequestri di beni, campagne e palazzotti, esempi di un intervento della magistratura e delle forze di polizia che ha finalmente colpito nel cuore della ‘ndrangheta. Anche per questo, anzi, soprattutto per questo, a Rosarno sono scomparsi i colpi di fucile contro gli immigrati, gli agguati di notte contro i ragazzi di colore; anche per questo è ricomparsa la solidarietà dei singoli rosarnesi verso gli immigrati.
E la rivolta di un anno fa ha messo in moto inchieste su caporalato e sfruttamento, ha fatto emergere gli interesse delle aziende di grande distribuzione (supermercati e mercati generali) nella formazione dei prezzi degli agrumi e quindi nella paga giornaliera per i lavoratori.
Ma di fronte a tutto ciò che è venuto alla luce, alle operazioni di Polizia e magistratura, di fronte alle richieste della nuova amministrazione, quello che manca a Rosarno è una presenza vera dello Stato che non sia solo di giusta repressione della criminalità: sono le leggi nazionali, quella Bossi-Fini che nega ancora oggi l'integrazione degli immigrati, manca quell'intervento dello Stato che può favorire, talvolta anche a costo zero, la soluzione dei problemi abitativi e di vita quotidiana. Perché se c'è riuscita, in un paesino vicino a Rosarno, la Caritas diocesana, a maggior ragione ci può riuscire lo Stato Italiano, eliminando quindi quei problemi di sfruttamento e di mancanza di servizi igienici che alimentano la tensione di immigrati e cittadini onesti di Rosarno. Ma forse la tensione contro gli immigrati deve essere alimentata, non solo da pregiudizi e ideologismi senza senso, ma anche per motivi politici, di tensione, diciamo così, "elettorale".
Certamente, il fatto nuovo di Rosarno si è visto un anno dopo in quella manifestazione che ha attraversato la città e poi è andata sotto la prefettura di Reggio Calabria: quello striscione ben scritto e ben fatto con le due date (7/1/2010 e 7/1/2011) ed il nome di Rosarno, quelle bandiere della Cgil e quel servizio d'ordine tutto di immigrati africani . L'elemento nuovo di Rosarno e di questo anno è stato la "coscienza" ed il "sindacato", la richiesta di diritti con metodi sindacali invece di quell scoppio di rabbia che un anno fa aveva portato tanti giovani di colore a sfogarsi per le strade della città: anche perché, rispetto agli anni passati, quando nella piana di Gioia Tauro arrivavano immigrati appena sbarcati e passati per il percorso del CPT di Crotone, ora vi lavorano giovani africani che arrivano da altre esperienze lavorative, anche dal Nord ed in fabbrica, persone comunque più consapevoli dei propri diritti: e poi giovani che arrivano da Castelvolturno.
Abituati a difendere il lavoro e la loro paga da camorra e violenza criminale, da caporalato e sfruttamento perché più vicina al sindacato. Ecco dunque che la sindacalizzazione anche a Rosarno può diventare elemento di passo in avanti nelle conquiste dei diritti; ma sempre che questo percorso abbia sbocchi positivi in futuro. Soldi per realizzare l'accoglienza e poi il cambio della legge per l'immigrazione che non favorisce di certo il permesso di soggiorno per chi lavora nei campi, stagionalmente e stabilmente. E tutto nella speranza che questo favorisca un incontro con la popolazione locale, la cittadinanza di Rosarno e delle tante città dove l'immigrazione è oggi parte determinante della produzione industriale ed agricola. Per evitare che Rosarno torni agli scontri del 2010 e che si moltiplichino altre Rosarno nelle zone, perdipiù, più difficili del paese.
Fonte: Articolo21.info
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