lunedì 5 luglio 2010
Taranto: disastro ambientale, indagati i vertici Ilva
Svolta nelle indagini sulle emissioni di diossina da parte dello stabilimento Ilva di Taranto. La procura della città ha iscritto nel registro degli indagati quattro persone. Si tratta di Emilio e Nicola Riva, rispettivamente padre e figlio (il primo ha passato al secondo la presidenza dell’Ilva lo scorso 19 maggio), Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento, e Angelo Cavallo, responsabile del reparto Agglomerato 2. L’accusa è di disastro ambientale. La decisione della magistratura appare come una diretta conseguenza dell’ispezione giudiziale effettuata nello stabilimento siderurgico lo scorso marzo. Il sopralluogo era finalizzato al controllo dello stato dell’impianto di agglomerazione 2. L’obiettivo era verificare la correttezza delle procedure sulla gestione delle polveri abbattute dagli elettrofiltri in fase di produzione, trattamento, deposito, stoccaggio e smaltimento. Obiettivo ulteriore era l’eventuale individuazione di possibili fonti di diossina, dei soggetti responsabili dei settori interessati e di possibili fonti attive di Pcb, i Policlorobifenili. Il capo della Procura jonica Franco Sebastio ed il sostituto Mariano Buccoliero, titolari dell’inchiesta, hanno chiesto di blindare l’accusa con un incidente probatorio nell’ambito di un accertamento tecnico irripetibile, ovvero una superperizia per identificare una volta per tutte qual è la fabbrica di veleni che produce diossine e pcb in quantità pericolosa per la salute pubblica. Da mesi, da parte di associazioni cittadine ed ambientaliste, si erano sollevati cori di protesta per le incredibili nuvole di fumo, visibili perfino da diversi chilometri, che in particolare di notte si sono alzate dalle ciminiere. Rilievi tecnici curati per l’Arpa, inoltre, avevano scatenato l’allarme dei pcb, composti cancerogeni banditi già dagli anni ’70, prodotti non dalla combustione, come la diossina, bensì utilizzati nei trasformatori elettrici. Nelle scorse settimane, per limitare l’inquinamento cittadino, il sindaco Ippazio Stefàno aveva ordinato all’Ilva di predisporre entro 30 giorni un piano di ottimizzazione degli impianti, secondo le migliori tecniche disponibili (Bat).
La decisione di Stefàno seguiva la diffusione dei risultati dell’indagine compiuta dall’Arpa Puglia, da cui emergeva come le cokerie contribuiscano al 99% all’inquinamento da benzoapirene al quartiere Tamburi. Inoltre, si rileva dai dati dell’Arpa, nel 2009 è stato costantemente superato il valore obiettivo, relativo alle emissioni di benzoapirene, di un nanogrammo per metro cubo d’aria. Scrive l’Arpa: «All’interno delle sorgenti di Ipa (Idrocarburi Policiclici Aromatici) dello stabilimento siderurgico, la più rilevante risulta la cokeria, con percentuali rispettivamente del 79,7 (per gli Ipa totali) e del 98,5 (per il benzo(a) pirene)». L’incidenza del traffico è solo dello 0,02% nel quartiere Tamburi. Secondo i calcoli dell’Agenzia, «il bilancio emissivo per l’anno 2009 conferma il predominante apporto dello stabilimento siderurgico alle emissioni in atmosfera di Ipa nell’area di Taranto in misura tale che nessuna delle sorgenti considerate diverse dall’Ilva raggiunge, comunque, lo 0,1% del totale, mentre molte sorgenti risultano di vari ordini di grandezza inferiori». Pcb, diossine e furani sono sostanze classificate come inquinanti persistenti (POPs), molto resistenti alla decomposizione e permangono nell’ambiente per diversi anni.
Tali sostanze, oltre a provocare danni immediati alla salute, una volta riversate nell’ambiente, non essendo biodegradabili, stratificano nei terreni (e vi permangono fino a 20 anni), compromettendo l’ecosistema ed entrando nella catena alimentare. Come, peraltro, dimostrano i risultati di una ricerca condotta dal Fondo antidiossina guidato da Fabio Matacchiera, che ha rilevato presenza di diossine e pcb nelle lumache raccolte «in un terreno agricolo tra Statte e il quartiere Tamburi ». Proprio a ridosso della zona industriale. (Vincenzo Mulè, Terra)
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