(ANSA/MICHELE NACCARI)
In questi giorni si è tornato a parlare molto di Marcello Dell’Utri, cofondatore ed ex senatore di Forza Italia, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La scorsa settimana il tribunale di sorveglianza di Roma gli ha negato una richiesta di scarcerazione per motivi di salute. Dell’Utri ha 74 anni e soffre di varie gravi patologie che però, secondo la decisione del tribunale, sono compatibili con il regime carcerario. La decisione del tribunale ha causato molte polemiche e dichiarazioni da parte dei leader politici e intellettuali in particolare di centrodestra, ma anche della sinistra più liberale, che hanno definito la carcerazione di Dell’Utri una pena eccessiva, se non una forma di tortura o di pena di morte.
Dell’Utri aveva presentato la richiesta di scarcerazione più di un anno fa, ma il tribunale è arrivato a una decisione soltanto lo scorso 7 dicembre. Il tribunale ha deciso di seguire le indicazioni contenute nella perizia dei due esperti che aveva nominato la scorsa estate: il medico legale Alessandro Fineschi e il cardiologo Luciano De Biase. Secondo i medici, Dell’Utri può restare in carcere a patto che determinate cure mediche gli vengano somministrate in ospedale. Nella motivazione alla decisione, i giudici hanno scritto: «Sulla scorta del quadro clinico complessivo i periti hanno concluso per la compatibilità con il carcere non emergendo criticità o urgenze tali da rendere necessario il ricorso a cure o trattamenti non attuabili in regime di detenzione ordinario».
Secondo gli avvocati, invece, Dell’Utri non può più rimanere in carcere a causa di alcune gravi patologie, tra cui un problema cardiocircolatorio, un tumore alla prostata e una forma di diabete. Il procedimento è durato molto, con la prima udienza che si era tenuta nel settembre del 2016. Mentre gli esperti nominati dal tribunale hanno contestato le affermazioni degli avvocati, una vecchia perizia di alcuni periti scelti dalla procura (e quindi dell’accusa) sosteneva invece la tesi degli avvocati difensori e cioè che Dell’Utri non potesse più restare in carcere. La procura ha preferito ascoltare i periti nominati dal tribunale invece che i suoi, e ha chiesto che la richiesta di scarcerazione venisse respinta.
Dopo la decisione del tribunale Dell’Utri ha fatto diverse dichiarazioni, attraverso i suoi avvocati e chi lo visita in carcere. In un primo momento ha detto che avrebbe rifiutato cibo e cure mediche, e diversi giornali gli hanno attribuito la frase: «Ora mi lascio morire». Alcuni visitatori hanno poi riferito che in questi giorni Dell’Utri si sta nutrendo soltanto di acqua e fette biscottate. Diversi parlamentari del centrodestra hanno chiesto che a Dell’Utri venga concessa la grazia dal presidente della Repubblica, una campagna sostenuta anche da quotidiani come Il Giornale e Il Tempo. Pochi giorni fa però Dell’Utri ha detto che non intende chiedere la grazia, e che se gli venisse concessa la rifiuterebbe.
Dell’Utri era stato condannato a 7 anni di carcere nel maggio del 2014 per concorso esterno in associazione mafiosa, un reato che non esiste nel codice penale ed è molto discusso dai giuristi (ci arriviamo). Dopo un breve periodo di latitanza, venne arrestato a Beirut e nel giugno dello stesso anno venne estradato in Italia. Secondo i giudici che lo hanno condannato, Dell’Utri svolse per anni il ruolo di anello di congiunzione tra Silvio Berlusconi e alcuni esponenti della mafia siciliana. Nella sentenza definitiva è scritto che nel corso degli anni Ottanta ci fu «un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell’Utri». Anche questo processo è stato lungo e particolarmente tortuoso. Le prime indagini risalgono al 1994, il processò iniziò nel 1997 e terminò nel 2004 con una condanna a 9 anni di reclusione. Il processo di appello terminò nel 2010, ma fu annullato dalla Cassazione nel 2012. Nel 2013 Dell’Utri fu condannato nuovamente in appello, condanna che poi definitivamente confermata in Cassazione.
Oltre alle sue condizioni di salute, anche il reato per cui è stato condannato ha suscitato molte polemiche. Il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa” non esiste nel codice penale. Deriva infatti dalla “fusione” di due diversi reati: l’associazione per delinquere di tipo mafioso, articolo 416 bis, e l’articolo 110, che prevede il concorso di persone in altri reati. Il tema era tornato di attualità dopo la sentenza della Corte di Cassazione sul caso di Bruno Contrada, un ex dirigente della polizia e dei servizi segreti condannato nel 2007 a 10 anni anche lui per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel luglio scorso, in seguito a un ricorso presentato dai legali di Contrada, la Corte di Cassazione aveva stabilito che la pena, già scontata da Contrada parte in carcere e parte ai domiciliari, era da considerarsi «ineseguibile e improduttiva di effetti» poiché all’epoca dei fatti di cui era accusato il concorso esterno non era un reato sufficiente “tipizzato”, cioè era ancora troppo generico e poco preciso. Secondo i magistrati Dell’Utri ha compiuto il reato fino al 1992, prima che venisse “tipizzato”, quindi anche lui potrebbe rientrare nella stessa categoria di Contrada e vedersi la condanna annullata in caso di ricorso.
Fonte: Il Post
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