martedì 3 maggio 2016

Il Leicester che vince la Premier league è un vero miracolo

Wes Morgan del Leicester City dopo aver segnato contro il Manchester United, a Manchester, il 1 maggio 2016. (Darren Staples, Reuters/Contrasto)

John Foot, storico

La parola “miracolo” è spesso abusata. Nel calcio italiano, per esempio, basta una buona parata per gridare al miracolo del portiere. Ma stavolta siamo davanti a un vero miracolo calcistico. Il piccolo Leicester ha vinto la Premier league, il più ricco (ma probabilmente non il migliore) campionato di calcio del mondo, dominato dai patrimoni senza fondo di statunitensi, russi, qatarioti e via dicendo. Alla fine il Leicester ha vinto mentre non era nemmeno in campo.

Il Chelsea, vincitore dello scorso campionato, giocava contro il Tottenham, l’unica squadra che potesse ancora privare il Leicester del titolo, e ha giocato alla morte. La partita si è addirittura conclusa con una rissa degna della serie A.

Nel frattempo Claudio Ranieri stava tornando dall’Italia, dov’era andato a trovare la madre di 96 anni. Discreto, pacato e dignitoso, Ranieri non ha festeggiato con salti, urla e selfie come i suoi giocatori. Il suo comportamento è una sintesi dell’intera stagione. Una squadra normale ha compiuto un’impresa straordinaria. Un eterno secondo ha vinto nel modo più sbalorditivo. Anche quando la vittoria era quasi scontata, la città non riusciva ancora a crederci. Persino Jamie Carragher, arcigno ex difensore del Liverpool diventato commentatore, ha colto la grandezza dell’evento. “La gente ne parlerà anche tra cent’anni”, ha dichiarato.

Facce sporche e pennellate d’artista

Ma com’è accaduto questo miracolo? Come hanno fatto i più improbabili vincitori della storia ad arrivare fino in fondo? È stato un evento unico e irripetibile o è l’inizio di una nuova fase, un ritorno all’importanza della squadra, ai vecchi valori, allo spirito del lavoro duro e del sacrifico e dunque una sconfitta dell’ipercapitalismo del calcio moderno?

L’incredibile trionfo del Leicester nasce da un misto tra facce sporche e pennellate d’artista. C’è una difesa “all’italiana” che non ha mai ceduto agli attacchi stellari delle pretendenti al titolo. C’è un portiere (Kasper Schmeichel, figlio del grande Peter) che non è più solo uno con un cognome pesante ma un vincente in carne e ossa. Ci sono i tifosi di questa città modesta e multietnica, sempre vicini alla squadra e molto diversi dai tifosi spesso viziati dei grandi club, la cui lealtà va a fasi alterne e che non hanno mai vissuto il fallimento.

"Il Leicester ha vinto giocando in un modo che ha stravolto l’opinione corrente dell’era del tiki-taka

E poi ci sono gli artisti. Riyad Mahrez, elegante in tutto, dal ricercato taglio della barba al suo meraviglioso piede sinistro. Mahrez è musulmano e francoalgerino, amico del fratello di Paul Pogba. Un suo strepitoso goal contro il Chelsea ha provocato l’esonero di José Mourinho e ha segnato il momento in cui la gente ha cominciato (timidamente) a credere che stava accadendo qualcosa di strano e bellissimo. Jamie Vardy, il principale realizzatore della squadra, è stato in forma per l’intera stagione, capace di segnare in undici partite di fila. Vardy è la punta di diamante del sistema di Ranieri, basato sul contropiede: sempre pronto a correre, lottare, indurre all’errore i difensori. Vardy è uno che non ci pensa due volte, tira appena vede la porta e terrorizza i portieri. Bisogna però ammettere che, come il Leicester, Vardy ha anche un lato oscuro.

Tifosi del Leicester festeggiano dopo il secondo gol del Chelsea contro il Tottenham, il 2 maggio 2016. (Eddie Keogh, Reuters/Contrasto)

Vecchia volpe

Il Leicester ha vinto il campionato giocando in un modo che ha stravolto l’opinione corrente dell’era del tiki-taka. In quasi tutte le partite hanno avuto meno possesso di palla rispetto agli avversari. Hanno effettuato meno passaggi e li hanno sbagliati più spesso. Ma ha funzionato, per tutta la stagione. Non hanno quasi mai fatto passi falsi e hanno continuato a vincere.

Al centro di tutto c’è la vecchia volpe, Claudio Ranieri. Calmo, composto, sempre pronto a smorzare gli entusiasmi (fino a poche settimane fa continuava a dire che l’obiettivo era non retrocedere), Ranieri ha conquistato la stampa britannica con la sua empatia e il suo rispetto per gli arbitri e la federazione. In questo e molto altro, Ranieri è il contrario di Mourinho. E la verità è che un titolo al Leicester ne vale dieci altrove. Chi ricorderà i trionfi dei club miliardari tra cento anni?

Storicamente il trionfo del Leicester non ha precedenti. Nel 1978 il Nottingham Forest di Brian Clough vinse il campionato e nei due anni successivi portò a casa due coppe europee, ma Clough aveva già vinto altrove, ed erano altri tempi. Il Cagliari di Mario Scopigno vinse lo scudetto nel 1970, ma aveva Gigi Riva. Gli unici confronti possibili sono con il Kaiserslautern del 1998, che vinse la Bundesliga da neopromossa, e con il Verona di Bagnoli, scudetto nel 1985. Ma, ripeto, erano altri tempi, prima che l’arrivo dei miliardi di euro, rubli, yen e petrodollari trasformasse il calcio in un sistema dove alcuni giocatori guadagnano 300mila sterline alla settimana.

Soprattutto, il miracolo del Leicester ci spinge a riconsiderare un concetto che abbiamo ripetuto fino allo sfinimento negli ultimi anni: “Contano solo i soldi. Oggi ci vogliono enormi capitali per vincere. Le piccole squadre non vinceranno mai niente”. Non è così. Ci siamo sbagliati. Grazie, Leicester per averci smentiti. Grazie per aver portato un pizzico di poesia nel gioco che amiamo. Grazie per averci dato il sinistro di Mahrez. Forza Leicester!

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Fonte: Internazionale

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