venerdì 14 novembre 2014

Tor Sapienza, ipocrisia e razzismo dietro una giusta protesta

Nel quartiere romano è scoppiata la rivolta. I cittadini chiedono più sicurezza e se la prendono con i 36 "neri" minorenni del centro di accoglienza


“Bruciamoli tutti”. Come una caccia alle streghe moderna. Questa volta sono i migranti le vittime della violenza. Dopo che alcuni di loro sono stati i “carnefici”. Ma alla forca ci finiscono tutti, perché di fronte al degrado e all’esplosione della criminalità è difficile non generalizzare. Così a Tor Sapienza alla giusta protesta si mischiano razzismo e xenofobia, da una parte alimentati dalla disperazione e dall’emarginazione sociale, dall’altra fomentati da chi, senza responsabilità, ha affrontato e affronta tutt’oggi il tema dell’immigrazione.

La periferia abbandonata. È falso dire che chi scende in piazza a Tor Sapienza è razzista. In molti protestano, e non da oggi, contro il degrado della zona, causato anche da una gestione fallimentare del sistema dei centri di accoglienza, al quale si aggiunge un sostanziale abbandono delle forze dell’ordine di alcune zone della Capitale. D’altronde dove c’è disagio aumenta l’illegalità, al di là del paese di provenienza. E i migranti, nonostante la propaganda di Lega, CasaPound e Fratelli d’Italia, vivono in miseria. Per questo nei pressi dei centri di accoglienza va aumentata la sorveglianza delle forze dell’ordine. Ma non basta la repressione. Servono seri interventi di integrazione, con corsi di lingua italiana e formazione professionale. Altrimenti saranno sempre degli zombie destinati ad incrementare il disagio e l’insicurezza.

Le ipocrisie dietro una giusta protesta. Tuttavia, a Tor Sapienza se è lecito manifestare per la maggiore sicurezza, appare francamente ipocrita chi protesta contro il centro di accoglienza per rifugiati politici di via Morandi “perché siamo invasi e devono andare via”. Scartabellando i dati relativi ai centri di accoglienza di Roma, si scopre che quello di via Morandi dovrebbe ospitare 30 rifugiati. Ed in effetti, secondo i numeri forniti dalla cooperativa che gestisce il centro, il numero reale si discosta di poco: sono 36 gli ospiti effettivi al momento, molti dei quali minorenni e quasi tutti provenienti dall’Africa. Appare francamente difficile, a parte il comportamento irriverente di qualcuno, che 36 persone, tutte schedate, possano mettere a ferro e a fuoco un quartiere di 8mila anime. Infatti, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato un tentativo di stupro in un parco della zona ad opera di tre uomini. Ma non di origine africana, come in molti sostengono. Bensì ad opera di tre uomini dell’Europa dell’est. Mentre i furti nelle abitazioni nella maggior parte dei casi sono attribuibili a bande di rom, non necessariamente stanziati in zona. Senza dimenticare che il traffico di droga nell’area è gestito soprattutto dagli italiani.

Tra razzismo e ignoranza. Così, una giusta protesta per chiedere maggiore sicurezza si trasforma in una caccia al “negro” al grido “Viva il Duce”, con 50 persone incappucciate che tentano l’assalto al centro di accoglienza. Poi finisce che un 35enne di colore, “pizzicato” sulla strada, viene pestato e finisce all’ospedale. “Quelli prendono 40 euro al giorno, e noi stiamo a fare la fame senza un lavoro”. Così molti abitanti della zona giustificano la follia collettiva. Ed è qui che la politica ha le sue più grandi responsabilità, perché racconta una mezza verità che diviene una verità compiuta. Infatti, non è affatto vero che i migranti (quasi esclusivamente profughi e rifugiati) abbiano uno “stipendio” di 40 euro al giorno. Bensì, ogni immigrato in un centro di accoglienza costa 900 euro al mese, pari a 30 euro+iva al giorno. Si tratta della cifra che lo Stato paga alle cooperative che gestiscono i centri e che a loro volta pagano stipendi ai lavoratori italiani che cucinano, fanno le pulizie e si occupano della gestione dei centri stessi. Al singolo migrante viene data una scheda telefonica da 15 euro e 2,5 euro al giorno da spendere per esigenze personali, pari a 75 euro al mese.

Fonte: Diritto di critica

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