martedì 30 agosto 2016

È morto l'attore statunitense Gene Wilder

Si è spento all'età di 83 anni l'attore volto mitico di Willie Wonka e Frankenstein Junior

Gene Wilder

Jerome Silberman, attore, sceneggiatore, scrittore e regista, famoso nel mondo del cinema con lo pseudonimo di Gene Wilder, si è spento all'età di 83 anni. Da tempo era malato di Alzheimer è deceduto a causa di complicazioni dovute proprio alla malattia con la quale conviveva da oltre 20 anni.

Raggiunge l'apice del suo successo negli anni Settanta con i film diretti da Mel Brooks e Richard Pryor. Indimenticabile nell'interpretazione dello scienziato pazzo in "Frankenstein Junior", resterà nella memoria anche per il volto di Willie Wonka, l 'eccentrico e controverso protagonista della "Fabbrica di cioccolato" di Mel Stuart, film culto di tante generazioni.

Torna alla ribalta nel 1974 con due grandi pellicole: "Frankestein Junior" e "Mezzogiorno e mezzo di fuoco", i due film escono a breve distanza l'uno dall'altro e gli regalano anche una nomination all'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale ottenuta grazie a "Frankestein Junior".

Si è spento nella sua casa in Stamford, nel Connecticut, lasciando la moglie Karen Boyer con cui era sposato dal 1991.

Fonte: The Post Internazionale

Terremoto: il giorno dei funerali ad Amatrice

E si cercano ancora gli ultimi dispersi tra le macerie, mentre si avviano le indagini sui crolli: i morti sono 292, mentre sono 2.925 gli sfollati assistiti dalla Protezione Civile

Amatrice (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

Ad Amatrice, oggi alle 18, si terranno i funerali di stato per buona parte delle 231 persone morte in città a causa del terremoto del 24 agosto scorso, che ha causato danni anche nei comuni vicini e nel complesso la morte di 292 persone. La decisione di celebrare i funerali ad Amatrice è stata presa ieri dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con le autorità locali, dopo che gli sfollati avevano protestato contro la scelta di tenerli nei pressi dell’aeroporto di Rieti, come inizialmente deciso dalla prefettura locale, dove erano già state trasportate decine di corpi negli ultimi giorni. Le proteste avevano indotto il sindaco di Amatrice a consultarsi con il governo per spostare ad Amatrice la cerimonia, anche se questo comporterà qualche complicazione in più dal punto di vista logistico a causa delle difficoltà di accesso alla zona in seguito al crollo di alcune infrastrutture lungo le strade che portano al comune.


Il bilancio provvisorio
L’ultimo bilancio provvisorio della Protezione Civile parla di 292 persone morte: 231 ad Amatrice, 11 ad Accumoli e 50 nella zona di Arquata del Tronto. Non ci sono indicazioni ufficiali sui dispersi, ma si pensa che siano poco meno di una decina e tutti nel comune di Amatrice. Vigili del fuoco e soccorritori sono ancora al lavoro tra le macerie per la ricerca di altri corpi: ieri ne sono stati estratti due in città. Gli sfollati assistiti dalla Protezione Civile sono 2.925: 1.200 nelle Marche, 755 in Umbria e i restanti nel Lazio. La disponibilità complessiva è di 5.400 posti: dovrebbe essere sufficiente per accogliere tutte le persone interessate dal terremoto, e rimaste senza casa.

Le indagini
La procura di Rieti sta raccogliendo documenti e testimonianze sugli edifici crollati nei paesi del terremoto, a partire da Amatrice e Accumoli. Nei prossimi giorni i magistrati apriranno diversi fascicoli per occuparsi dei singoli casi, in modo da farsi un’idea sullo stato degli edifici prima dei crolli e sui lavori cui erano o dovevano essere sottoposti per l’adeguamento antisismico. Dalle informazioni raccolte finora dai giornali, sembra che a molti edifici fossero state applicate semplici e non meglio definite “migliorie”, senza che fossero effettuate ristrutturazioni per aumentare la capacità degli edifici di resistere a terremoti di media intensità.

Il Corriere della Sera di oggi parla dell’esistenza di un “documento riservato che dimostra le irregolarità compiute nella ristrutturazione degli edifici pubblici di Amatrice e Accumoli dopo il sisma del 1997 dell’Umbria. È la relazione dell’ente attuatore su 21 appalti assegnati per la messa a norma degli stabili”. Il documento contiene informazioni sullo stato di alcuni edifici di cui si è parlato molto negli ultimi giorni, come la torre civica e la sede dei Carabinieri ad Accumoli. In diversi stanziamenti, erano stati messi a disposizione fondi per oltre 6 milioni di euro usati per i lavori di ristrutturazione, ma che solo in alcuni casi avevano compreso un effettivo adeguamento, scrive sempre il Corriere.

Torre Civica
Per uno degli edifici più conosciuti di Accumoli erano stati spesi circa 90mila euro ed erano stati effettuati collaudi nel 2012 e nel 2013, senza che fossero segnalati particolari problemi. In seguito al terremoto del 24 agosto, però, la torre si è lesionata ed è stata interessata da diversi crolli. Gli adeguamenti avrebbero dovuto rendere la struttura più resistente alle sollecitazioni dei terremoti, ma solo le indagini potranno chiarire come mai ciò non sia avvenuto e se ci sia qualche responsabilità.

Campanile
Lo stesso vale per il campanile della chiesa di Accumoli: è crollato su una casa nelle vicinanze, causando la morte di una famiglia di quattro persone. Era stato sottoposto a una serie di interventi, ma dalle prime informazioni raccolte sembra che le ristrutturazioni avessero interessato più che altro la chiesa, con il mancato adeguamento antisismico del campanile.

Caserma dei Carabinieri
La caserma di Accumoli era stata sottoposta ad alcune ristrutturazioni dopo il terremoto dell’Umbria, sfruttando uno stanziamento da 150mila euro. I lavori furono indicati come “ultimati e collaudati”, secondo i documenti visionati dal Corriere, e sembra che fosse quindi tutto in regola. Anche in questo caso, però, l’edificio ha subito danni consistenti e non è più agibile.

Scuola Romolo-Capranica
L’edificio originario era degli anni Trenta e aveva subito diverse ristrutturazioni nel corso del tempo. Con fondi per oltre 600mila euro, erano stati sostituiti gli infissi ed erano stati effettuati alcuni “miglioramenti sismici” in una parte dell’edificio centrale, ma niente di paragonabile a lavori più incisivi di un adeguamento antisismico vero e proprio. Un ulteriore intervento fu eseguito in un secondo tempo, con la spesa di circa 200mila euro, ma anche in questo caso si effettuarono migliorie e non adeguamenti veri e propri, stando almeno ai documenti e alle ricostruzioni fatte finora dai giornali. In seguito al terremoto, la scuola ha subito danni molto gravi e diversi suoi ambienti sono inagibili.

Case private
L’inchiesta giudiziaria di Rieti si occuperà anche delle case private, in particolar modo sulle certificazioni che attestavano la loro messa in sicurezza, fornite ai proprietari al momento dell’acquisto. I documenti con le certificazioni dovranno essere confrontati con i danni subiti dagli edifici, per capire se in alcuni casi i lavori non fossero adeguati per l’effettiva messa in sicurezza delle case.

Utilizzo dei fondi
Repubblica scrive che i terremoti dell’Umbria nel 1997 e dell’Aquila nel 2009 “hanno fatto piovere sul territorio della provincia di Rieti 84 milioni di euro di fondi per la ricostruzione”, ma che “parte di quel denaro non è stato ancora speso, o è stato speso male, o, ancora, non è stato utilizzato per rendere gli edifici sicuri”. La gestione non ideale dei fondi, per esempio, ha comportato rinvii e mancati lavori su alcune importanti infrastrutture, come i ponti sulle strada provinciale e su quella regionale che portano verso Amatrice. Inoltre, “dopo il sisma del 1997, il Genio civile individuò sul territorio reatino 300 interventi di ricostruzione e miglioramento sismico per un totale di 79 milioni di euro messi a disposizione dallo Stato. Tra Accumoli e Amatrice c’erano 11 immobili e 10 chiese da sistemare”. Il problema è che quei fondi, spalmati su numerosi interventi, resero possibili “migliorie” e non interventi più approfonditi di adeguamento per rendere gli edifici più resistenti alle scosse di terremoto, con gli effetti che ora sono visibili a tutti.

Contributo autonomo di sistemazione (CAS)
Buona parte degli sfollati è orientata a chiedere il CAS, il rimborso mensile offerto dallo Stato e che può arrivare a un massimo di 600 euro per famiglia, da usare per le spese legate alla sistemazione in case in affitto o altre soluzioni alternative, in attesa di avere una nuova casa in cui abitare. Un primo fondo di 50 milioni di euro stanziati dal governo coprirà questa spesa, poi dovranno essere erogati nuovi finanziamenti, probabilmente attingendo alle risorse che metterà a disposizione l’Unione Europea per l’emergenza.

Sistemazioni
La Protezione Civile è al lavoro per organizzare la costruzione di case temporanee dove ospitare buona parte degli sfollati, in modo da consentirgli di rimanere nei pressi dei loro paesi e di tenere insieme le comunità. I lavori richiederanno però qualche mese, quindi dovranno essere pensate soluzioni intermedie, anche in vista dell’arrivo dell’autunno e del freddo, che nelle zone montuose del terremoto arriva già nei primi giorni di settembre. Tra le ipotesi ci sono l’utilizzo di moduli abitativi prefabbricati, migliorie ai campi già esistenti e l’utilizzo degli alberghi lungo la costa adriatica per qualche settimana.

Casa Italia
Ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha ribadito nella sua newsletter di voler avviare il prima possibile un progetto che ha chiamato “Casa Italia” e che servirà per andare oltre l’emergenza attuale, con piani di più ampio respiro per mettere in sicurezza edifici pubblici e privati e risolvere altri problemi del territorio, legati per esempio al dissesto idrogeologico. Il piano prevede investimenti consistenti, che saranno suddivisi anno per anno con il “passo del maratoneta”, come ha scritto Renzi. Il governo ha ipotizzato di stanziare il denaro escludendolo dai calcoli del debito pubblico e quindi dai parametri imposti dall’Unione Europea, sul rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo (PIL). Per ora la proposta non ha convinto molto la Commissione Europea, che ha già ricordato che solo le spese di emergenza nell’immediato possono essere escluse dal calcolo sul debito, non quelle legate a interventi strutturali e nel medio-lungo periodo. Renzi aveva chiesto, e si aspetta, una maggiore flessibilità da parte della UE, ed è probabile che il tema sarà al centro dei prossimi incontri con i principali leader europei e con il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker.

Fonte: Il Post

domenica 28 agosto 2016

Terremoto: com’è la situazione al quinto giorno di ricerche

Il bilancio dei morti è di 290, alla scuola di Amatrice oggi ci sono stati nuovi crolli dopo una scossa

Una donna guarda delle macerie ad Amatrice, il 28 agosto 2016 (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Alle 15.07 di oggi c’è stata una nuova scossa di terremoto ad Amatrice, in provincia di Rieti, di magnitudo 3.7: è stata la più forte registrata in giornata e ha fatto crollare altre parti della scuola Romolo Capranica, che già era stata fortemente danneggiata il 24 agosto. Si è parlato molto della scuola Capranica perché come tutti gli edifici pubblici avrebbe dovuto essere adeguata alle norme antisismiche: in effetti l’edificio era stato inaugurato nel settembre del 2012 dopo una ristrutturazione per essere adeguato e ora la procura di Rieti indagherà sul perché nonostante i lavori la costruzione sia crollata. Fortunatamente non ci sono stati morti in questo particolare crollo, dato l’orario e il periodo dell’anno in cui è avvenuta la grande scossa della notte del 24 agosto.

Sabato 27 agosto si è svolto il funerale di Stato di 35 delle persone morte nel terremoto. Erano tutte persone morte nelle Marche, mentre la maggior parte dei funerali di chi è morto nella provincia più colpita, quella di Rieti, in Lazio, deve ancora svolgersi. L’ultimo bilancio dice che i morti sono 290: sabato sera la Protezione Civile aveva detto che i morti erano 291, ma domenica mattina la prefettura di Rieti ha corretto il bilancio, abbassandolo a 290. 229 persone sono morte ad Amatrice, 11 ad Accumoli e 50 ad Arquata del Tronto e Pescara del Tronto, i comuni – i primi due in provincia di Rieti, il terzo e il quarto in provincia di Ascoli Piceno – colpiti più duramente dal terremoto. Le persone ferite, in parte già curate e dimesse dagli ospedali, sono state invece quasi 400.

Fonte: Il Post

sabato 27 agosto 2016

Terremoto nel centro Italia, il quarto giorno

Il 27 agosto è stata indetta una giornata di lutto nazionale. Ad Ascoli Piceno si terranno i funerali delle prime vittime alla presenza delle massime cariche dello stato

Le rovine di Amatrice. Credit: Ciro de Luca

Tre forti scosse hanno devastato l'Italia centrale della notte del 24 agosto, causando la morte di 268 persone. L'epicentro della prima scossa, di magnitudo 6.0, si è registrato a 2 chilometri da Accumoli, Rieti, e 10 da Arquata del Tronto, Ascoli Piceno, e Amatrice, Rieti.

L'ipocentro del sisma è stato registrato a soli 4 chilometri di profondità. La prima scossa si è verificata alle 3.36 ed è stata sentita a grande distanza, fino a Napoli o in Emilia Romagna. È durata 142 secondi. La seconda e la terza alle 4.32 e 4.33, di magnitudo 5.4. Queste ultime due hanno avuto epicentro nei pressi di Norcia, in Umbria.

Delle 294 vittime, 233 solo ad Amatrice, 50 ad Arquata e 11 ad Accumoli. I feriti sono in tutto 388.

---- GLI AGGIORNAMENTI:

Nella giornata del 27 agosto è stata indetto il lutto nazionale, in occasione dei funerali delle vittime marchigiane ad Ascoli Piceno, alla presenza delle massime cariche dello Stato, organizzati nel palazzetto dello sport cittadino.

Questa mattina il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato in visita ad Amatrice e Accumoli, portando il sostegno dell'intero paese.

La Protezione civile sta dando assistenza a 2500 persone, i posti disponibili nelle tendopoli per gli sfollati sono 3800.

La Protezione civile ha chiesto di interrompere l'invio di coperte e cibo, arrivati in abbondanza nei luoghi colpiti dal sisma. "Servono soldi e posti letto", ha comunicato.

È salita a 6.120.296 euro la cifra raccolta per le popolazioni colpite dal terremoto tramite l'sms al 45500, attivo dalle 15 dello scorso 24 agosto. Lo riferisce il Dipartimento della Protezione Civile.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 26 agosto 2016

Terremoto: si lavora ancora tra le macerie

Una nuova scossa di magnitudo 4.8 ha causato altri crolli ad Amatrice, il governo ha stanziato un primo fondo da 50 milioni, i morti sono almeno 267: tutte le notizie

Poliziotti davanti alle macerie ad Amatrice (Carl Court/Getty Images)

Oggi ad Amatrice e nelle altre zone interessate dal terremoto di magnitudo 6 di mercoledì 24 agosto si è continuato a lavorare tra le macerie, per sgomberare le vie di accesso agli edifici danneggiati, mettere in sicurezza alcuni palazzi e per cercare ancora eventuali persone rimaste tra i detriti dei crolli. Nel suo ultimo bilancio provvisorio la Protezione Civile ha annunciato che le persone morte a causa del terremoto sono almeno 267, ma le stime potrebbero cambiare ancora nelle prossime ore. Le persone ferite, in parte già curate e dimesse dagli ospedali, sono state quasi 400.

Alle 6:28 di questa mattina ad Amatrice c’è stata una nuova scossa di terremoto di magnitudo 4.8, che ha causato ulteriori crolli in uno dei comuni già danneggiati più seriamente dal sisma di mercoledì. Non ci sono stati feriti tra i vigili del fuoco e gli altri soccorritori che da più di due giorni lavorano tra le macerie per cercare persone e mettere in sicurezza la zona.

Ieri, intanto, il Consiglio dei ministri ha assicurato risorse economiche e assistenza alle zone terremotate: è stato stanziato un primo fondo di 50 milioni di euro ed è previsto un piano per l’emergenza e la gestione delle centinaia di sfollati, che hanno passato la loro seconda notte nei campi di accoglienza allestiti dalla Protezione Civile. Il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti ha parlato ieri dopo una giunta straordinaria dedicata al terremoto: la decisione più importante che è stata presa è lo stanziamento di 5 milioni di euro per la gestione dell’emergenza «e per le esigenze che si potrebbero presentare nelle prossime ore».

La Protezione Civile ha detto che circa 2.100 sfollati hanno trascorso la notte nei campi allestiti con tende, e che la capienza massima è intorno ai 3.500 posti, quindi non dovrebbero esserci problemi di sovraffollamento. Sono inoltre in corso l’organizzazione di sistemazioni alternative non in tenda per parte della popolazione. Nel complesso nelle Marche sono stati messi a disposizione degli sfollati 900 posti letto, tra tende approntate dalla Protezione Civile e altre sistemazioni. In Umbria sono ospitate 719 persone, concentrate per oltre la metà nella zona di Norcia.

Domani, sabato 27 agosto, sarà giornata di lutto nazionale. Alle 11.30 ad Ascoli Piceno si svolgeranno anche i primi funerali delle persone morte nel terremoto. Alla cerimonia prenderà parte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che andrà anche ad Amatrice e nelle zone colpite. La messa verrà celebrata dal vescovo di Ascoli Giovanni D’Ercole e si svolgerà nel palazzetto dello sport. Ai funerali sarà presente anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

Fonte: Il Post

giovedì 25 agosto 2016

Terremoto: ci sono oltre 240 morti

Nel Centro Italia si continua a scavare tra le macerie e cercare persone disperse dopo la scossa di ieri di magnitudo 6 tra Amatrice e Accumoli: tutte le notizie

Soldati cercano persone intrappolate tra le macerie ad Amatrice (ANSA/ MASSIMO PERCOSSI)

Il terremoto nel Centro Italia di mercoledì 24 agosto ha causato la morte di almeno 241 persone, ha detto la Protezione Civile oggi, rivedendo la stima di 247 fornita nelle prime ore di oggi. Da più di 24 ore, centinaia di vigili del fuoco, soccorritori e volontari sono al lavoro tra le macerie per cercare eventuali sopravvissuti e i corpi di chi è morto a causa dei crolli degli edifici. Le situazioni più difficili continuano a essere ad Amatrice e Accumoli nel Lazio e a Pescara del Tronto nelle Marche. Il numero di dispersi è imprecisato e si teme che ci possano essere ancora decine di persone sotto i detriti, mentre sono migliaia gli sfollati che hanno passato la loro prima notte lontani dalle loro case rese inagibili dal terremoto, nei campi allestiti dalla Protezione Civile.

Fonte: Il Post

mercoledì 24 agosto 2016

Terremoto di magnitudo 6 nel centro Italia

Tre forti scosse, la prima di magnitudo 6 alle 3.36 e la seconda e la terza alle 4.32 e 4.33, hanno scosso questa notte Lazio, Marche, Umbria

Pescara del tronto. Credit: Ansa

Tre forti scosse hanno devastato l'Italia centrale questa notte. L'epicentro della prima scossa, di magnitudo 6.0, si è registrato a 2 chilometri da Accumoli, Rieti, e 10 da Arquata del Tronto, Ascoli Piceno, e Amatrice, Rieti.

L'ipocentro del sisma è stato registrato a soli 4 chilometri di profondità. La prima scossa si è verificata alle 3.36 ed è stata sentita a grande distanza, fino a Napoli o in Emilia Romagna. È durata 142 secondi.

La seconda e la terza alle 4.32 e 4.33, di magnitudo 5.4. Queste ultime due hanno avuto epicentro nei pressi di Norcia, in Umbria.

Il bilancio, ancora provvisorio si attesta a 73 vittime, secondo quanto riferito dalla Protezione civile nel corso di una conferenza stampa.

I danni più gravi si sono verificati ad Amatrice dove, secondo le parole del sindaco, il paese è per metà distrutto. Le operazioni di soccorso per recuperare la gente sotto le macerie sono iniziate. L'ospedale di Amatrice è del tutto inagibile, mentre la chiesa principale distrutta. Gravi danni anche a Pescara del Tronto. 

Dopo le prime tre scosse, altre 39 scosse di minore gravità si sono susseguite.

Si tratta del sisma più grave da quello dell'Aquila del 2009, che provocò la morte di oltre 300 persone. Si scava, anche con le mani, incessantemente.

Sono attivi i numeri della Protezione Civile: 840840 e 803555.

I vigili del Fuoco e i volontari della protezione civile stanno continuando ad arrivare sul posto anche dalle regioni vicine.

In primi feriti gravi sono stati trasportati da Amatrice all'ospedale dell'Aquila e Perugia e alcuni, con l'elisoccorso, a Roma.

Una donna è stata estratta viva dalle macerie ad Amatrice.

Il capo del dipartimento della Protezione civile in conferenza stampa ha aggiornato la popolazione sulla situazione, dicendo che sono già attive le strutture di soccorso e accoglienza.

"Scenario apocalittico" è come viene definita la situazione ad Amatrice dai testimoni e dai reporter che si trovano sul posto.

La protezione civile ha chiesto di ridurre al minimo gli spostamenti nelle strade circostanti, per non ostacolare i soccorsi.

L'Avis di Rieti ha allertato la popolazione per la raccolta di sangue di tutti i gruppi sanguigni, che potrà essere donato presso l'ospedale de Lellis del capoluogo.

Ad Arquata del Tronto sono stati estratti vivi dalle macerie due bambini.

Danni alle linee Enel stanno provocando mancanze di energia elettrica in alcune aree.

Papa Francesco ha rimandato la catechesi del mercoledì all'udienza generale in piazza San Pietro, invitando tutti i fedeli accorsi a pregare insieme per tutte le vittime del terremoto.

C'è stato un crollo dalla parete est del Corno piccolo del Gran Sasso, dove ci sono le vie di arrampicata. Nessun danno, solo paura.

Da molte regioni di Italia stanno arrivando a Rieti, centro di coordinamento, mezzi, uomini di soccorso, unità cinofile e tanta solidarietà. Dall'estero arriva la disponibilità all'assistenza da parte di Israele. Da Roma 40 ambulanze e 7 elicotteri. È stato mobilitato anche l'Esercito.

Il sindaco di Accumoli ha dichiarato che nessuna casa del paese è agibile, servono tendopoli per ospitare la popolazione sfollata.

Solidarietà anche dall'Unione europea, che si dice pronta ad aiutare tramite la dichiarazione del commissario Ue agli aiuti umanitari e alla gestione delle crisi, Christos Stylianides.

Si stanno allestendo le prime tendopoli per accogliere la popolazione.

La Direzione Regionale Sanità del Lazio ha disposto inoltre l'apertura straordinaria dei centri trasfusionali di Roma e Rieti, per far fronte all'esigenza di sangue per l'evento sismico.

Alle ore 13.52 un'altra scossa sismica di magnitudo 4.9 ha fatto tremare la terra. Si è appena percepita anche da Roma.

Fonte: The Post Internazionale

domenica 21 agosto 2016

Turchia, esplosione durante una festa di nozze a Gaziantep

Cinquantuno le vittime e oltre 90 i feriti, soprattutto donne e bambini. L'attentatore è un bambino di età compresa tra i 12 e i 14 anni, secondo il presidente Erdogan

Alcune donne piangono le vittime della festa di nozze uccise da un'esplosione a Gaziantep, in Turchia, il 20 agosto 2016. Credit: Osman Orsal

Nella notte di sabato 20 agosto, un'esplosione durante una festa di nozze che si stava svolgendo all'aperto nella città turca di Gaziantep, ha ucciso almeno 51 persone e ne ha ferite oltre 90, ma il bilancio delle vittime potrebbe salire. Lo hanno reso noto le autorità turche. L'attacco è avvenuto in una zona popolata da studenti universitari ed è stata avvertita in tutta la città.

L'attentatore suicida ad aver compiuto la strage è un bambino di età compresa tra i 12 e i 14 anni, secondo quanto ha dichiarato il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, che aveva puntato il dito contro l'Isis affermando che "i terroristi non possono sopraffare la Turchia e cercare di provocare il popolo puntando sulla sensibilità etnica e settaria, essi non prevarranno. Non c'è differenza tra il Pkk, l'organizzazione terroristica di Gulen e l'attacco terroristico potenzialmente dell'Isis a Gaziantep".

Gaziantep si trova vicino al confine siriano ed è noto per la presenza di alcune cellule dell'Isis. Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AFP, l'esplosione è avvenuta in una parte della città caratterizzata da una folta presenza curda, ma al matrimonio preso di mira non c'erano invitati curdi.

Le immagini diffuse sui social network mostrano donne e bambini con il volto coperto di sangue, la sala completamente distrutta con sedie e tavoli finiti in strada, decine di ambulanze e tanti corpi a terra. Un'esplosione così forte, ha detto un cronista del posto, da essere udita da un capo all'altro della città di oltre un milione e mezzo di abitanti.
Il primo a parlare di un kamikaze è stato un deputato del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), ma poco dopo anche il viceministro Mehmet Simsek ha affermato che tutto lascia pensare a un attentato suicida. "Si tratta di un attacco barbarico, tutti i gruppi terroristici, il Pkk, l'Isis e il movimento di Gulem, stanno prendendo di mira la Turchia, ma con la volontà di Dio, li sconfiggeremo"

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 18 agosto 2016

Perché si parla tanto di burkini

Cosa significa burkini e com'è fatto? Com'è nato? Perché ha scatenato tante polemiche?

di Laura Melissari

Una donna con il burkini in Australia. Credit: Tim Wimborne

L'estate del burkini. Il mese di agosto è stato caratterizzato dall'acceso dibattito mediatico in cui tutti, o quasi, si sono sentiti in dovere di dire la propria. Da quando è iniziata la stagione dei bagni al mare, non si parla d'altro. Ma cos'è questo strano indumento, pesantemente criticato da alcuni e inneggiato come elemento di libertà femminile da altri?

Cosa significa burkini e com'è fatto? La parola burkini nasce dalla crasi tra bikini e burqa per definire una sorta di costume da bagno che copre tutto il corpo umano femminile, compresa la testa, conforme ai dettami dell'islam. Lascia scoperti solo mani, piedi e viso. Permette alle donne di nuotare anche se integralmente coperte. Somiglia a una sorta di muta da sub, ma è fatto del tessuto dei costumi invece che di neoprene. L'Hijood è invece una parte del burkini ovvero il cappuccio che funge da velo. Il nome deriva dall'unione delle parole hood, in inglese cappuccio, e hijab, appunto il velo islamico.

Com'è nato? Il burkini è nato da un'idea di Aheda Zanetti, una designer australiana di origine libanese. Nel 2003 fondò la Ahiida Pty Ltd, la società che oggi produce il burkini, che è un marchio registrato. L'idea le venne osservando la nipote che giocava a netball con uno scomodo hijab tradizionale. Decise così di creare una linea di abiti adatti alle donne che volevano fare sport ma allo stesso tempo rispettare la tradizione islamica. Il burkini ha ricevuto l'approvazione e la certificazione della comunità islamica.

Quando si è iniziato a parlarne? Se n'è parlato per la prima volta sui giornali nel 2011, quando Nigella Lawson, una giornalista non musulmana ne indossò uno in Australia, a Bondi Beach. La giornalista disse di averlo indossato per proteggersi dal sole, nulla di più. Si continuò a parlare di burkini quando il noto marchio britannico Mark&Spencer iniziò a venderlo nei propri negozi. Ma il vero debutto sulle cronache internazionali arriva solo nell'estate 2016, quando in Francia 3 sindaci hanno deciso di vietarne l'uso sulle spiagge dei loro comuni. Dal 2010 la Francia vieta di indossare per motivi di ordine pubblico e sicurezza il burqa o niqab che copre integralmente il viso di una donna. Tre anni dopo, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sostenuto la legittimità di quel divieto.

Perché ha scatenato tante polemiche? All'inizio di agosto un gruppo di persone stava organizzando una sorta di burkini day in un parco acquatico di Marsiglia, previsto per settembre. Quella notizia scatenò grandi polemiche tanto che alla fine l'evento fu cancellato. Il sindaco di Cannes, David Lisnard, ha giustificato il divieto dicendo che il burkini può rappresentare un problema per l'ordine pubblico, dal momento che "ostenta" un simbolo troppo legato a una fede religiosa. Il sindaco di Sisco, Ange-Pierre Vivoni, ha emanato l'ordinanza di divieto in seguito a degli scontri che si sono verificati lo scorso 14 agosto tra alcune famiglie nordafricane e degli abitanti della cittadina. È l'unico tra i sindaci ad aver emesso il divieto che appartiene a uno schieramento di centro sinistra e lo ha giustificato come un modo per "proteggere la popolazione".

Cosa centra il premier Manuel Valls con il burkini? Sul tema è intervenuto anche il premier francese Manuel Valls: "Capisco i sindaci che, in questo momento di tensione, tentano di cercare soluzioni ed evitare problemi all'ordine pubblico", ha sostenuto Valls durante un'intervista al quotidiano regionale La Provence. Dietro questo abbigliamento, che copre la donna dalla testa ai piedi lasciando liberi solo il volto, le mani e i piedi, "c'è l'idea che, per natura, le donne siano indecenti, impure, e che quindi debbano essere totalmente coperte. Questo non è compatibile con i valori della Francia e della Repubblica", ha ricordato il premier. La stampa internazionale si è scatenata in commenti ed editoriali, pro o contro le parole di Valls, e in generale il divieto del burkini. C'è chi ha definito lo stesso divieto come sciocco atto di fanatismo, chi lo ha invece difeso, considerando quel costume integrale come un calpestare la libertà e la dignità della donna. Tanti i comitati anti-islamofobia che hanno criticato le ordinanze e le parole del premier.

Come la pensa invece il governo italiano? Il ministro degli Interni, Angelino Alfano, si è detto critico su come la Francia sta affrontando il problema del fondamentalismo islamico. Secondo lui un divieto istituzionale di usare il burkini in spiaggia non ha senso, sarebbe solo una "potenziale provocazione" nei confronti dell'Islam radicale.

Dov'è vietato? È vietato a Cannes, dove una decina di donne sono già state multate per aver trasgredito al divieto. In Corsica, a Sisco e Villeneuve-Loubet. Alcuni resort e hotel in Marocco vietano il burkini in piscina per ragioni igieniche.

Quali altri indumenti simili esistono nel mondo? Il veilkini, una sorta di burkini composto da una tunica, dei pantaloni e un cappuccio per coprire la testa. È fatto di poliestere ed elastan (noto anche con il nome commerciale di Lycra). Un altro abbigliamento simile è il facekini, più diffuso in Cina, che copre quasi integralmente anche il viso, lasciando scoperti solo gli occhi. Serve per proteggere le donne dal sole e dalle meduse o altri animali urticanti.

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 17 agosto 2016

Evacuate 80mila persone in California per un grave incendio

Un'area di 9000 acri è stata interessata dalle fiamme, alimentate da forti raffiche di vento e da alte temperature, che hanno scatenato dei veri tornado di fuoco

Un vigile del fuoco a lavoro per domare le fiamme nella contea di San Bernardino. Credit: Gene Blevins 

Almeno 80mila persone sono state evacuate in California, a circa 90 chilometri a est di Los Angeles, a causa di un grave incendio. Un'area di 9000 acri è stata interessata dalle fiamme, alimentate da forti raffiche di vento e da temperature che si aggirano intorno ai 37 gradi, che hanno scatenato dei veri e propri tornado di fuoco.

L'incendio è stato ribattezzato Blue Cut Fire. Il fenomeno dei tornado di fuoco, meglio conosciuti come vortici di fuoco, si verifica quando le fiamme si uniscono alle raffiche di vento, dando luogo a dei mulinelli incendiari.

Il governatore della California, Jerry Brown, ha dichiarato lo stato di emergenza nella contea di San Bernardino. La Croce rossa è intervenuta nei soccorsi, allestendo centri di accoglienza per gli evacuati. Sono 34.500 le case a rischio e 82.640 le persone costrette ad abbandonarle.

Le autorità hanno diramato comunicati per invitare la popolazione a rimanere in allerta e a seguire le istruzioni di evacuazione. Le aree più colpite sono quelle di Baldy Mesa, Lytle Creek, Wrightwood, Old Cajon Road, Lone Pine Canyon, West Cajon Valley e Swarthout Canyon.

Circa 700 vigili del fuoco sono a lavoro in queste ore per cercare di spegnere l'incendio, con l'aiuto di 10 canadair.

Le fiamme sono arrivate fino alla Interstate 15, la più grande autostrada della zona, che collega il sud della California a Las Vegas, rendendo ancora più complicate le operazioni di evacuazione.

Il cambiamento climatico, che ha portato a inverni secchi, primavere miti ed estati caldissime, ha contribuito a estendere la tradizionale "stagione degli incendi".

Fonte: The Post Internazionale

martedì 16 agosto 2016

Almeno 11 persone sono morte in un raid contro un ospedale di Msf in Yemen

L'attacco è avvenuto nella città di Abs, nella provincia di Hajjah, e sarebbe stato condotto dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita

Un raid aereo in Yemen. Credit: Reuters

Un attacco aereo ha colpito un ospedale gestito da Medici Senza Frontiere nel nord dello Yemen, uccidendo almeno 11 persone e ferendone almeno 19. L'attacco è avvenuto nella città di Abs, nella provincia di Hajjah, e secondo quanto riferiscono le fonti dell'organizzazione, il raid sarebbe stato condotto dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita, che sostiene il governo yemenita nella lotta contro i ribelli Houthi.

La coalizione non ha rilasciato commenti. Gli abitanti locali riferiscono che i raid nella zona vanno avanti da giorni.

Il conflitto in Yemen che ha avuto inizio nel 2015, ha lasciato più di 6.400 morti, la metà dei quali civili, e 2,5 milioni di sfollati, secondo le Nazioni Unite.

L'attacco di Abs arriva a meno di 48 ore dopo un altro attacco aereo della stessa coalizione che ha colpito una scuola coranica nel quartiere Haydan di Saada, nel quale sono morti 10 bambini.

La coalizione guidata dall'Arabia Saudita porta avanti attacchi aerei nello Yemen dal marzo 2015 a sostegno del governo riconosciuto a livello internazionale del presidente Abedrabbo Mansour Hadi.

I militanti houthi e gli uomini dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh controllano la capitale Sanaa.

Venerdì scorso i colloqui di pace sponsorizzati dalle Nazioni Unite e ospitati dal Kuwait sono collassati quando gli houthi hanno rifiutato la proposta di pace e creato un organo amministrativo a dispetto dell’opposizione dell’Onu e del governo in esilio.

Fonte: The Post Internazionale

La Russia è pronta per combattere insieme agli Stati Uniti ad Aleppo

Dall'Iran decollano jet russi utilizzati per colpire le postazioni dell'Isis e le milizie legate ad al-Nusra

Uomini riparano le abitazioni danneggiate dai bombardamenti ad Aleppo, in Siria. Credit: Abdalrhman Ismail 

Russia e Stati Uniti sono vicini a trovare un accordo per lanciare azioni militari comuni ad Aleppo, in Siria. Lo ha annunciato lunedì 15 agosto il ministro della difesa russo Serghiei Shoigu.

I combattimenti per il controllo della città divisa tra ribelli e l’esercito si sono intensificati nelle ultime settimane. La Russia appoggia il presidente siriano Bashar al Assad, mentre gli Stati Uniti vorrebbero la sua destituzione.

Washington e Mosca hanno in più occasioni discusso su un coordinamento delle operazioni militari in Siria, ma non sono riuscite a trovare un accordo su quali gruppi ribelli colpire.

In particolare la Russia ha criticato la riluttanza degli Stati Uniti a ritirare l’appoggio ai ribelli siriani che combattono nelle aree controllate dagli islamisti di al-Nusra. Ma dopo cinque anni di guerra civile le due potenze sono consapevoli della necessità di trovare una soluzione che metta fine alle violenze.

"Siamo in una fase molto attiva dei negoziati con i nostri omologhi statunitensi", ha dichiarato il ministro russo. "Passo dopo passo, ci stiamo avvicinando alla struttura, parlo solo di Aleppo, che ci permetterà veramente di iniziare a combattere insieme, affinché sia ristabilita la pace su questa terra afflitta dalla sofferenza e le persone possano far ritorno alle proprie case".

Interrogata dai giornalisti sulle affermazioni di Shoigu, la portavoce del Dipartimento di Stato degli Usa Elizabeth Trudeau ha dichiarato che “gli Stati Uniti non hanno nulla da annunciare”, ma ha confermato che le due nazioni restano “in stretto contatto” per trovare una soluzione condivisa.

I combattimenti ad Aleppo tra i ribelli e l'esercito del presidente Bashar al Assad si sono intensificati nelle ultime settimane e hanno portato allo stremo la popolazione rimasta nella città, nonostante gli impegni a rispettare un parziale cessate il fuoco.

L'Osservatorio siriano per i diritti umani nel suo ultimo bilancio delle vittime, nel periodo che va dal 31 luglio al 14 agosto, fissa a 327 i civili morti ad Aleppo e nei dintorni, tra cui 76 bambini e 41 donne.

La battaglia di Aleppo “è uno dei più devastanti conflitti all’interno di una città dei tempi recenti”, ha lanciato l’allarme lunedì 15 agosto il presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa Peter Mauer. “Nessuno è al sicuro qui. I bombardamenti sono costanti, case, scuole e ospedali sono sulla linea di fuoco. Le persone vivono in uno stato di costante terrore. I bambini sono traumatizzati. La portata delle sofferenze è immensa”.

La Russia ha fornito aiuti umanitari ad Aleppo e sta aiutando a ricostruire gli acquedotti distrutti dai bombardamenti, ha spiegato il ministro russo. Circa 700mila civili vivono ancora ad Aleppo e gli abitanti nei quartieri orientali della città sono “ostaggi di gruppi armati”, ha aggiunto Shoigu.

Il ministro infine ha confermato di aver schierato in Iran i bombardieri a lungo raggio e i cacciabombardieri impiegati per combattere i miliziani dell’Isis e degli altri gruppi ribelli nemici di Assad.

Finora la Russia non aveva mai utilizzato il territorio di un’altra nazione nel Medio Oriente per compiere operazioni militari all’interno della Siria e la notizia rappresenta un’ulteriore prova dell’attivismo diplomatico di Mosca per porre fine al conflitto siriano.

Gli aerei russi hanno condotto raid aerei dalla base di Hamadan "contro obiettivi appartenenti allo Stato Islamico e a Jabhat al-Nusra nelle provincie di Aleppo, Deir ez-Zor e Idlib". Secondo il ministero, i bombardamenti hanno distrutto tre postazioni di comando e campi di addestramento dei militanti del sedicente Stato islamico nelle regioni di Serakab, Al-Bab, Aleppo, Deir ez-Zor e cinque importanti depositi di armi. Nelle operazioni, precisano dal ministero, è rimasto ucciso "un numero significativo di terroristi”.

Fonte: The Post Internazionale

domenica 14 agosto 2016

L’imam ucciso a New York

Un uomo ha sparato a lui e al suo assistente poco lontano da una moschea nel Queens: i suoi fedeli dicono che è un crimine d'odio religioso

(KENA BETANCUR/AFP/Getty Images)

Un imam e il suo assistente sono stati uccisi con due colpi di pistola alla testa nel quartiere di Queens, a New York. La polizia dice che la sparatoria è avvenuta alle due di pomeriggio, le otto di sera in Italia. L’imama Maulama Akonjee, 55 anni di origine bengalese, e il suo assistente Thara Uddin, 64 anni, erano appena usciti dalla moschea quando sono stati avvicinati da dietro da un uomo con una polo nera, che ha estratto un’arma e ha sparato loro alla testa prima di fuggire. Secondo alcuni dei fedeli dell’imam, che si sono ritrovati nel pomeriggio dopo l’omicidio per una manifestazione di solidarietà, Akonjee e Uddin sono stati uccisi a causa della loro religione e chiedono che il caso sia trattato come un crimine d’odio.

La polizia non ha fornito ipotesi o spiegazioni, ma un poliziotto ha confidato in maniera anonima al New York Times che le due uccisioni sembrano «in qualche modo pianificate». Ufficialmente, i titolari delle indagini hanno dichiarato che per il momento nulla fa sospettare che si tratti di un crimine d’odio. Al momento dell’uccisione, Akonjee aveva con sé mille dollari che sono stati lasciati sul corpo. L’omicidio è avvenuto in pieno giorno, in una zona tra Brooklyn e Queens dove abita un crescente numero di famiglie musulmane, soprattutto di origine bengalese.

Secondo l’FBI i crimini d’odio contro i musulmani sono aumentati nel corso del 2015, passando da una media di 12,6 al mese a 38 soltanto nel mese di dicembre, dopo gli attacchi di Parigi e San Bernardino. Gli attacchi consistono perlopiù in molestie e violenze nei confronti di studentesse che indossano il velo, vandalismo contro le mosche, minacce di morte e incendi di attività detenute da musulmani.

Fonte: Il Post

sabato 13 agosto 2016

Il tunisino che voleva colpire la torre di Pisa è stato espulso

Il 26enne Bilel Chiahoui era stato arrestato giovedì 11 agosto per aver annunciato sui social media di voler compiere un attacco terroristico

Bilel Chiahoui progettava di colpire la torre di Pisa

Il cittadino tunisino arrestato dalle autorità italiane giovedì 11 agosto 2016 dopo che aveva annunciato sui social media di voler compiere un attentato terroristico è stato espulso venerdì 12 agosto.

Il 26enne Bilel Chiahoui aveva in mente di colpire la torre di Pisa, o almeno così diceva sui suoi account social. La polizia italiana ha rilevato che si tratta di un simpatizzante del sedicente Stato islamico e ha così ordinato l’espulsione.

Mentre in tutta Europa si è diffuso il timore degli attacchi di lupi solitari, ancora più imprevedibili nella loro casualità degli attentati terroristici coordinati, Roma ha ordinato l’espulsione di altri sospetti jihadisti e ha rafforzato i controlli di sicurezza, specialmente nei siti turistici e luoghi di culto, ma anche in porti, aeroporti e stazioni.

Fonte: The Post Internazionale

Ucciso il leader dell'Isis in Afghanistan e Pakistan

Hafiz Saeed Khan, ex comandante Taliban ormai fedele al sedicente califfo al-Baghdadi, è rimasto ucciso nel raid aereo di un drone americano il 26 luglio

Il leader dell'Isis in Afghanistan e Pakistan Hafiz Saeed Khan

Un bombardamento aereo effettuato da un drone americano ha ucciso il leader dell’Isis in Afghanistan e Pakistan il 26 luglio 2016. A confermare la notizia del grave colpo inferto al sedicente Stato islamico è un portavoce del Pentagono.

La morte di Hafiz Saeed Khan è un evento importante nella lotta al sedicente califfato in un territorio a cavallo tra Afghanistan e Pakistan in cui sono già presenti movimenti estremisti come i Taliban e al-Qaeda.

Inoltre, si tratta del secondo leader jihadista ucciso dalle forze degli Stati Uniti in pochi mesi: a maggio, un altro raid compiuto da un drone in Pakistan aveva causato la morte del leader dei Taliban afghani Mullah Akhtar Mansour.

Tuttavia, l’Afghanistan è ancora preda di un conflitto che va avanti da 15 anni e i combattenti Taliban continuano a minacciare almeno due dei capoluoghi provinciali, Helmand e Kunduz. Secondo il governo americano, le forze governative avrebbero perso il 5 per cento del territorio nel corso di quest’anno.

L’Isis, invece, è confinato in una porzione di territorio ridotta ad alcuni distretti della provincia di Nangarhar, al confine col Pakistan, dove i miliziani – che sono per lo più ex Taliban – compiono incursioni sui villaggi e sulle postazioni governative.

Comunque, il rischio che il sedicente Stato islamico possa guadagnare terreno al di fuori di Iraq e Siria approfittando della situazione caotica in Afghanistan è reale e questa settimana il gruppo ha rivendicato un attacco nella città sudoccidentale pachistana di Quetta costato la vita ad almeno 74 persone. Tuttavia, va precisato che lo stesso attentato è stato rivendicato anche dai Taliban pachistani.

Qualche settimana fa, invece, l’Isis si è reso responsabile di un attacco a Kabul nel quale sono morte oltre 80 persone.

La morte di Khan era stata annunciata già l’anno scorso dall’intelligence afghana, ma mai confermata. Venerdì 12 agosto 2016, l’ambasciatore afghano in Pakistan Omar Zakhilwal aveva invece riferito a Reuters che questa volta la notizia era stata accertata dalle forze di sicurezza afghane.

“Posso confermare che il leader dell’Isis nel Khorasan (Afghanistan e Pakistan) Hafiz Saeed Khan è morto in un raid aereo del 26 luglio nel distretto di Kot, nella provincia afghana di Nangharhar, insieme ai suoi comandanti e soldati”, ha detto Zakhilwal.

Il portavoce del Pentagono Gordon Trowbridge ha confermato, aggiungendo che si è trattata di un’operazione congiunta delle forze speciali americane e afghane.

Khan era stato a lungo un comandante dei Taliban pachistani ma a ottobre del 2015 aveva giurato fedeltà al sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

Sia le varie fazioni dei Taliban che al-Qaeda sono acerrimi rivali dell’Isis. In particolare, rigettano la sua autoproclamazione a califfo della comunità islamica.

In Afghanistan, i Taliban e i miliziani dell’Isis si sono scontrati ripetutamente, anche se il loro principale nemico resta l’alleanza tra Stati Uniti e forze afghane.

Tra gennaio e agosto, l’aeronautica americana ha lanciato quasi 140 raid contro obiettivi dell’Isis in Afghanistan, mentre le forze locali hanno ucciso circa 300 miliziani in un’unica operazione, due settimane fa.

--- leggi anche: Ucciso il leader dell'Isis nel Sinai

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 12 agosto 2016

La Svizzera blocca i profughi a Como

Con l’aumentare della pressione migratoria al confine italiano con la Svizzera, Amnesty International sottolinea il pericolo che corrono i bambini che viaggiano da soli

Un gruppo di giovani migranti presso un centro rifugiati di Thun, in Svizzera. Credit: Ruben Sprich

La Svizzera ha avviato una stretta dei controlli di polizia alla frontiera con l’Italia, a causa del crescente numero di migranti che vogliono attraversare il paese elvetico per raggiungere la Germania e il nord Europa.

Sulle strade di Como, città lombarda situata proprio al confine svizzero, circa 450 giovani africani, molti dei quali bambini non accompagnati, si sono accampati da lunedì 8 agosto.

Da allora, la situazione nel capoluogo lariano è bloccata, in quanto ogni giorno la polizia svizzera riporta in Italia centinaia di migranti che tentano di oltrepassare la frontiera. Basti pensare che, solo nell’ultimo mese, circa 7.500 migranti hanno provato ad arrivare in Svizzera.

Per questo motivo, Como, e in particolare la stazione dei treni, sta diventando un luogo di rischio per i bambini migranti che viaggiano da soli.

Amnesty International avvisa: “Siamo preoccupati per i rapporti sui minori non accompagnati che vengono rimandati in Italia al confine svizzero, impedendogli di ricongiungersi con i familiari in Svizzera. Se un minore ha membri della sua famiglia in Svizzera, la richiesta d’asilo deve essere processata”.

Per Amnesty International, non rispettare il diritto dei minori al ricongiungimento familiare è incompatibile con la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia.

Ben due terzi dei circa 7500 migranti che hanno tentato di raggiungere la Svizzera sono stati rimandati indietro. A inizio 2016, veniva bloccato solo un settimo dei profughi in viaggio dall’Italia verso nord.

Nelle ultime settimane la preoccupazione è aumentata perché, secondo le autorità svizzere, c’è stato un drastico aumento del flusso di profughi da Eritrea, Gambia, Etiopia, Somalia e Nigeria.

In totale, le guardie frontaliere svizzere hanno fermato 8298 persone da inizio 2016, rispetto alle 3526 totali del 2015.

Più di 22mila migranti illegali sono stati trovati in Svizzera da inizio anno ed è stato impossibile risalire all’identità di 1.284 di loro.

Fonte: The Post Internazionale

Cosa è successo in Thailandia

Gli attacchi hanno colpito cinque diverse località e sarebbero opera dello stesso gruppo, ma al momento non è arrivata alcuna rivendicazione

Polizia sulla scena dell'esplosione a Hua Hin. Credit: Reuters

Tra giovedì 11 e venerdì 12 agosto una serie di esplosioni coordinate hanno avuto luogo in cinque diverse province della Thailandia, la maggior parte in località turistiche. Secondo la polizia sarebbero rimaste uccise quattro persone e ci sarebbero decine di feriti. La Farnesina ha reso noto che tra questi ultimi ci sarebbero anche due italiani.

Le esplosioni sono state in tutto oltre dieci. Quattro hanno avuto luogo nella località turistica di Hua Hin, dove sono rimaste uccise due persone. Due bombe sono esplose a Suran Tani, dove una persona è morta. Un'altra persona è morta a causa della bomba esplosa a Trang, e altri ordigni sono deflagrati a Patong, sull isola di Phuket, e sulla spiaggia di Phang Nga.

Huang Hin, Phuket e Phang Nga sono alcuni dei luoghi della Thailandia maggiormente frequentati dai turisti, noti soprattutto per le loro spiagge e i loro resort.

Il generale Prawit Wongsuwan, vice primo ministro del governo militare del paese, ha riferito che gli attacchi sono stati senz'altro realizzati dallo stesso gruppo. Le autorità locali hanno dichiarato che non si tratterebbe di terrorismo internazionale. Potrebbe dunque trattarsi dei ribelli separatisti della Thailandia meridionale, ma al momento non ci sono indizi evidenti a riguardo.

I ribelli separatisti del sud, riunitisi Fronte nazionale rivoluzionario (BRF), puntano alla costituzione di uno stato al confine tra Thailandia e Malesia che ricalchi i confini del vecchio Sultanato di Pattani, conquistato nel 1785 dal regno del Siam. Dal 2004 questo gruppo è impegnato in un conflitto con il governo thailandese che ha causato oltre 6mila vittime.

Secondo il reporter della BBC Jonathan Head, se fosse confermato che la responsabilità sia da attribuire alla guerriglia della Thailandia meridionale, si tratterebbe di un netto cambiamento della strategia di questo gruppo, che non aveva mai colpito il turismo.

Verosimilmente, avrebbero cercato di colpire un settore fondamentale per l'economia del paese. Ma c'è anche dell'altro secondo Head, che vede come simbolica la scelta di compiere un attacco a Hua Hin, città di mare non lontana dalla capitale Bangkok e considerata la residenza fuori città preferita dal re di Thailandia.

Il 17 agosto 2015 un attentato aveva ucciso 20 persone a Bangkok, nei pressi del santuario Erawan, uccidendo 20 persone. L'attacco non fu mai rivendicato, ma si sospettò la pista del nazionalismo thailandese e non dei separatisti del sud.

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 11 agosto 2016

Schwazer è stato squalificato per otto anni

Lo ha deciso il TAS: il marciatore italiano sospeso per doping non potrà quindi gareggiare a Rio

(Tullio M. Puglia/Getty Images for IAAF)

La sera del 10 agosto Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna ha squalificato il marciatore italiano Alex Schwazer per otto anni, la pena minima prevista nei casi di recidività per doping. Schwazer fu infatti già condannato per doping alcuni anni fa. Essendo stato squalificato Schwazer non potrà quindi partecipare alle due discipline della marcia previste alle Olimpiadi di Rio: i 20 e i 50 chilometri. Nonostante fosse stato sospeso era infatti comunque andato a Rio, sperando che una diversa decisione del TAS gli avrebbe permesso di gareggiare. Ora Schwazer può appellarsi solo a un tribunale federale svizzero, perché il TAS ha sede in Svizzera.

Schwazer ha 31 anni e divenne famoso nel 2008, quando a Pechino vinse l’oro nella gara olimpica della 50 chilometri di marcia. Alcuni anni dopo fu però squalificato per doping. La squalifica durò più di tre anni: fu trovato positivo all’EPO, una sostanza che per certe persone è un utile farmaco ma che per gli sportivi è una pericolosa sostanza dopante (è quello che prese anche Lance Armstrong, per capirci). EPO è un’abbreviazione di eritropoietina, un ormone che controlla la produzione di globuli rossi nel sangue. Chi ne fa uso riesce a far sì che i propri globuli rossi trasportino più ossigeno ai tessuti corporei, una cosa che torna molto utile negli sport che richiedono una grande resistenza. L’EPO è fatto per essere usato da persone anemiche, con insufficienza renale cronica. Per uno sportivo è invece molto pericoloso: aumenta la densità di globuli rossi nel sangue, facendolo diventare più viscoso e aumentando le possibilità di infarti e embolie polmonari. Il vantaggio è che rende gli atleti più più capaci di sopportare grandi sforzi. Nel 2012 Schwazer ammise di aver fatto uso di EPO e disse «ho sbagliato io, la mia carriera è finita». La squalifica arrivò alcuni anni dopo la vittoria di Schwazer alle Olimpiadi di Pechino, motivo per cui quella vittoria non gli è stata tolta.

Schwazer era tornato a gareggiare l’8 maggio 2016 in una tappa di Coppa del mondo di marcia tenuta a Roma: aveva vinto a sorpresa (non faceva gare da anni) la 50 chilometri con un tempo di 3 ore e 39 minuti. Grazie a quel tempo Schwazer era riuscito a qualificarsi alle Olimpiadi di Rio. A giugno però Schwazer è risultato positivo a un nuovo test antidoping e a luglio la IAAF, la Federazione Internazionale di Atletica Leggera, lo ha sospeso di nuovo. Dopo la squalifica, Schwazer e i suoi legali hanno fatto appello al Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna, in Svizzera. Per far sì che l’arbitrato arrivasse a una decisione prima delle gare olimpiche, Schwazer aveva chiesto – con il consenso della IAAF e del CONI, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – un “giudizio diretto internazionale”, un modo per rendere più rapida la decisione senza dover passare dal tribunale nazionale antidoping del CONI. All’inizio la decisione sarebbe dovuta arrivare il 27 luglio, poi è stata spostata all’8 agosto e poi è arrivata la sera del 10 agosto.

La seconda sospensione
È arrivata il 9 luglio dopo alcune controanalisi sui campioni di un controllo antidoping fatto a gennaio e reso noto il 21 giugno dalla Gazzetta dello Sport. Il controllo in cui Schwazer è stato trovato positivo risale all’1 gennaio ed è stato effettuato dalla IAAF: il campione prelevato a Schwazer quel giorno era composto di sangue e urina, e a un primo controllo era risultato negativo. La Gazzetta dello Sport ha spiegato che dopo la qualificazione di Schwazer alle Olimpiadi, la IAAF ha voluto effettuare nuovi controlli sul campione dell’1 gennaio e ha trovato «una quantità enorme di anabolizzanti steroidi» (sono quelli che in pratica favoriscono l’aumento della massa muscolare dell’atleta).

Il controllo e la positività
Il secondo controllo su Schwazer fu fatto a sorpresa a Racines, in Trentino-Alto Adige, a casa sua. Nei mesi precedenti e successivi a quel controllo, Schwazer non è mai risultato positivo a nessuno degli altri controlli e nessuno dei suoi valori era fuori norma. Il test riguarda un campione di sangue e urina che all’inizio aveva dato esito negativo. Dopo la vittoria di Roma, i campioni erano stati analizzati di nuovo e stavolta l’esame aveva dato esito positivo. La Gazzetta dello Sport ha spiegato che nel secondo test la IAAF aveva fatto “un controllo mirato” sulla presenza di anabolizzanti steroidi. Schwazer e i suoi legali hanno in più occasioni denunciato stranezze e presunte irregolarità nel modo in cui il campione è stato prelevato, trasportato a Colonia – in Germania, dove ci sono i laboratori per i controlli – e poi analizzato. Finora nessuno degli organi internazionali interessati dalla questione hanno ammesso irregolarità, spiegando solo di aver rifatto dei controlli in modo più approfondito, una cosa ovviamente lecita.

Le reazioni
Gerhard Brandstaetter, l’avvocato di Schwazer, aveva detto: «Cercheremo immediatamente di impugnare la sospensione, probabilmente già lunedì [11 giugno]». Sandro Donati – allenatore di Schwazer e noto per essere sempre stato molto duro nei confronti del doping – aveva detto: «I responsabili di questo omicidio sportivo devono essere ricercati all’interno della struttura della IAAF». Già alla fine di giugno Schwazer aveva contestato i risultati dei nuovi controlli e Brandstatter aveva definito le accuse «false e mostruose», dicendo che «Alex in questa vicenda non ha niente a che fare». L’idea sostenuta da Schwazer e da chi sta dalla sua parte è, in sintesi, che lui non si è dopato e si tratta di una specie di complotto per evitare che vada alle Olimpiadi. A sostegno di questa tesi Schwazer e i suoi legali fanno notare che la positività – l’unica su molti test – è arrivata dopo un secondo controllo su un campione già controllato, fatto poco dopo la sua qualificazione per le Olimpiadi. Il 13 luglio Schwazer ha detto: «Non mi sono dopato. O qualcuno mi ha dato di nascosto la sostanza, o la provetta è stata manipolata». Il 3 agosto Schwazer ha pubblicato un comunicato stampa sulla sua pagina Facebook ufficiale:


La tesi di Schwazer è che qualcuno gli abbia dato la sostanza di nascosto o modificato la provetta perché contrario al suo rientro alle gare, e all’aiuto che Donati gli stava dando. Le principali stranezze su quello che è successo prima della positività di Schwazer sono state messe insieme alcune settimane fa da un articolo di Repubblica, in cui si parlava di «un itinerario fantasma della provetta, una documentazione approssimativa, un ritardo estremo nella notifica del risultato». Schwazer sostiene per esempio che anziché essere anonima come avrebbe dovuto essere, la provetta contenente il suo campione arrivò a Colonia con un riconoscimento che permetteva di capire che conteneva il suo sangue e le urine sue (cosa che secondo lui avrebbe permesso di modificarne i parametri). Schwazer e i suoi legali hanno anche detto che i continui rinvii della sentenza sono stati una prova della volontà della IAAF di non farlo partecipare alle Olimpiadi. Di alcune di quelle questioni ha parlato anche un breve documentario di Repubblica: “Operazione Schwazer, le trame dei signori del doping“.

Fonte: Il Post

L'Australia sotto accusa per abusi sessuali nel centro rifugiati di Nauru

Le Nazioni Unite e altri osservatori internazionali accusano gravemente Canberra, ma il governo australiano nega e non intende chiudere il centro

Alcuni manifestanti australiani in protesta contro la politica di detenzione obbligatoria dei richiedenti asilo. Credit: Daniel Munoz

Negli ultimi due anni, nel centro di detenzione situato sull’isola pacifica di Nauru dove l’Australia deporta i migranti arrivati illegalmente sul suo territorio, sono stati registrati più di duemila episodi inquietanti, tra cui aggressioni, abusi sessuali e tentativi di suicidio, oltre metà dei quali hanno coinvolto minori.

Tuttavia, il ministro per l’Immigrazione Peter Dutton ha accusato i richiedenti asilo detenuti nel centro di aver mentito riguardo le presunte aggressioni sessuali subite all’interno della struttura, solo per essere mandati in Australia.

Già in passato, Dutton aveva espresso la controversa opinione secondo cui gli avvocati dei richiedenti asilo incoraggiano i rifugiati all’autolesionismo e addirittura a darsi fuoco.

“Sono stato messo al corrente di alcuni casi in cui sono state formulate false accuse di aggressione sessuale, perché alla fine queste persone hanno pagato dei trafficanti di esseri umani e vogliono venire nel nostro paese”, ha dichiarato Dutton a un’emittente radiofonica.

“Alcune persone sono arrivate a farsi del male e altre si sono immolate solo per raggiungere l’Australia. Certamente, qualcuno ha mentito”.

Per via della sua rigida politica sull’immigrazione, i richiedenti asilo (i cosiddetti boat people) intercettati mentre cercano di raggiungere l’Australia a bordo di imbarcazioni vengono spediti in un centro di detenzione sull’isola di Nauru, che ospita circa 500 persone, o in quello su Manus Island, in Papua Nuova Guinea. Nessuno di essi sarà mai accolto in Australia.

Le dure condizioni e i presunti abusi sistematici sui minori nei campi hanno attirato le critiche degli australiani e degli osservatori esterni. Canberra, tuttavia, non intende cambiare una politica sposata negli anni sia da governi laburisti che conservatori.

L’Australia sostiene che questa politica funge da deterrente e serve a salvare vite umane scoraggiando le persone dall’intraprendere il pericoloso viaggio via mare dall’Indonesia.

I rappresentanti legali dei rifugiati ritengono che i rapporti diffusi nei giorni scorsi testimoniano oltre ogni ragionevole dubbio che c’è bisogno di cambiare la politica della detenzione obbligatoria fuori dal territorio australiano e che i richiedenti asilo hanno urgente necessità di assistenza medica e psicologica.

Hayley Ballinger, un assistente sociale che ha lavorato a Nauru dal 2014 al 2015, ha detto che l’insinuazione di Dutton - ovvero che le vittime degli abusi stanno mentendo - è un insulto, dato che le aggressioni sono state ampiamente documentate.

“Le sue dichiarazioni parlano da sé. Le persone che ho visto hanno sofferto per davvero. Queste cose sono successe per davvero. Le abbiamo viste coi nostri occhi”, ha detto Ballinger.

--- Leggi anche: L'Isola dove l'Australia spedisce i rifugiati che non vuole

--- LE TORTURE CONTRO I GIOVANI DETENUTI AUSTRALIANI DI CUI NESSUNO PARLA

Fonte: The Post Internazionale

Almeno 4 vittime e mille persone evacuate a causa degli incendi in Portogallo

Il bilancio più grave sull'isola di Madeira dove tre persone hanno perso la vita mentre oltre mille, tra residenti locali e turisti, sono state evacuate

I vigili del fuoco impegnati a domare le fiamme sull'isola di Madeira, in Portogallo. Credit: Duarte Sa

Alcuni incendi boschivi hanno causato la morte di almeno quattro persone in Portogallo, mentre oltre mille sono state evacuate dall’isola di Madeira, popolare destinazione turistica.

Il ministro dell’Interno portoghese ha detto di aver chiesto l’aiuto dell’Unione Europea per far fronte all’emergenza. A intervenire immediatamente al fianco dei soccorritori portoghesi sia la vicina Spagna che l’Italia.

“Questa situazione straordinaria supera la nostra capacità di reagire”, ha dichiarato il primo ministro Antonio Costa, sottolineando che i prossimi giorni saranno difficili a causa delle alte temperature previste.

Lisbona ha inviato un team di oltre cento soccorritori a Madeira dove le fiamme, alimentate dai forti venti, hanno ucciso tre persone e distrutto 40 abitazioni e un albergo di lusso situati sulle colline sopra il capoluogo Funchal.

Nel Portogallo continentale, una persona è rimasta uccisa nella regione centrale di Santarem, dove migliaia di vigili del fuoco sono impegnati a domare decine di focolai mentre un’ondata di caldo attraversa il paese.

Le fiamme hanno distrutto case, costretto a chiudere per ore alcune autostrade principali e a evacuare diversi paesi, per lo più nel nord del Portogallo.

L’incendio a Funchal è quasi interamente sotto controllo dalla tarda mattinata, ha dichiarato il governatore della regione Miguel Albuquerque, ma altri focolai sono ancora attivi sull’isola.

Albuquerque ha riferito che 80 persone sono ricoverate in ospedale a causa del fumo e delle bruciature, due di loro sono in gravi condizioni. Tutte le vittime sono residenti locali. Una persona è attualmente dispersa.

Oltre mille tra abitanti e turisti, hanno passato la notte in accampamenti provvisori e caserme militari, prima che ad alcuni di loro fosse consentito rientrare alle proprie abitazioni. Evacuati anche due ospedali.

La polizia ha detto che alcuni degli incendi sono stati provocati da piromani e sono stati effettuati numerosi arresti.

Gli incendi boschivi sono frequenti in Portogallo, come del resto in Italia, e nel 2003 si sono state ben 19 vittime, mentre circa il 10 per cento dei boschi portoghesi sono andati in fumo.

Fonte: The Post Internazionale

Aleppo, 4 civili uccisi per un attacco con gas cloro

Il presunto attacco chimico ha colpito i quartieri ribelli nella parte orientale della città, decine di persone sono rimaste intossicate

Un uomo respira attraverso una maschera per l'ossigeno nell'ospedale di al-Quds di Aleppo dopo un presunto attacco con gas cloro. Credit: Abdalrahman Ismail

Almeno quattro persone sono rimaste uccise e diverse altre intossicate dopo che un gas, probabilmente cloro, è stato sganciato insieme a bombe a grappolo su un quartiere della città di Aleppo, mercoledì 10 agosto 2016.

Hamza Khatib, il direttore dell’ospedale al-Quds di Aleppo, ha riferito che la struttura medica ha registrato quattro decessi per avvelenamento da gas. L'attacco ha provocato anche 55 feriti, sette dei quali ancora ricoverati in ospedale.

Khatib ha detto che conserverà lembi dei vestiti dei pazienti e frammenti della bomba a grappolo come prove da analizzare per documentare l’attacco con il gas.

La Syria Defence Force, un gruppo che accorre in soccorso dei civili dopo gli attacchi nei quartieri sotto il controllo dei ribelli di Aleppo, ha invece registrato tre vittime e 22 feriti.

L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha detto che alcuni elicotteri hanno sganciato barili esplosivi sui quartieri di Saif al-Dawla e Zubdiya, causando la morte per soffocamento di una donna e del suo bambino.

La città settentrionale di Aleppo, che era la più popolosa della Siria prima della guerra, è divisa tra quartieri occidentali in mano al governo e quartieri orientali controllati dai ribelli. Ottenere il controllo dell’intera città sarebbe una grande vittoria per il presidente siriano Bashar al-Assad.

Venerdì 5 agosto è cominciata una sanguinosa battaglia nei dintorni di Aleppo dopo che i ribelli hanno avviato un’offensiva per rompere l’assedio delle forze filogovernative, che durava da un mese e teneva intrappolate circa 250mila persone.

I combattenti sono riusciti a fare breccia nelle linee nemiche, ma non sono ancora riusciti a stabilire un corridoio sicuro per il transito di civili e degli aiuti umanitari.

Non è la prima volta che i ribelli accusano l’aviazione siriana di aver usato gas contro di loro. L’Aleppo Media Centre, un portale d’informazione vicino all’opposizione, ha diffuso le immagini di presunte vittime colpite dall’attacco chimico: una bambina e alcuni adulti con indosso maschere per l’ossigeno.

Sia il governo che le forze dell’opposizione hanno sempre negato di aver fatto uso di armi chimiche, ma gli osservatori indipendenti ritengono che Damasco abbia usato gas cloro e altre sostanze in diverse occasioni. Al contrario, il governo e la Russia hanno accusato i ribelli di essere ricorsi a gas velenosi.

Le Nazioni Unite hanno rilevato che nel 2013 è stato usato gas sarin su un sobborgo di Damasco, Ghouta. Allora, gli Stati Uniti avevano accusato il governo di esserne responsabile e di aver causato la morte di 1.429 persone inclusi 426 bambini, ma Damasco ha sempre negato.

Nello stesso anno, il governo siriano ha accettato di distruggere le scorte di armi chimiche, processo completato nel 2016.

A fine 2015, tuttavia, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha constatato l'utilizzo di gas mostarda sul territorio siriano, senza precisare quale parte ne abbia fatto uso.

--- ALEPPO: 2 MILIONI DI PERSONE SENZA ACQUA E LUCE

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 8 agosto 2016

Cosa sta succedendo in Etiopia

Due gruppi etnici protestano contro il governo federale, solo negli ultimi giorni sono state uccise almeno sette persone

Una manifestazione in un paese vicino ad Addis Abeba (ZACHARIAS ABUBEKER/AFP/Getty Images) 

Domenica 7 agosto, per il terzo giorno consecutivo, ci sono state grosse proteste contro il governo in Etiopia. Nel nord-ovest del paese, nella regione di Amara, ci sono stati anche scontri molto violenti tra polizia e manifestanti e secondo alcune ricostruzioni potrebbero essere state uccise almeno sette persone (le informazioni sono molto confuse). Nella regione di Amara vive principalmente un omonimo gruppo etnico di cui fa parte circa il 30 per cento della popolazione etiope. Negli ultimi giorni ci sono state proteste anche più a sud, attorno ad Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Qui – dove vivono soprattuto gli Oromo, un gruppo etnico africano diffuso in Etiopia e Kenya – sono state arrestate decine di persone che stavano protestando contro il governo. Non sembra che le proteste nelle due regioni siano state coordinate, e anche i motivi del malcontento sono diversi; ma la concomitanza delle manifestazioni sta mettendo pressione al governo federale etiope.

Una mappa dell’Etiopia di BBC

Gli scontri più violenti si sono verificati in due città della regione di Amara, Gondar e Bahir Dar, dove ci sono state due tra le più grandi manifestazioni anti-governative degli ultimi anni. Il motivo originario delle proteste riguarda la comunità Welkait, un gruppo che finora è stato amministrato dalla regione dei Tigrè, che si trova sopra Amara. Da circa un anno i Welkait chiedono di essere spostati sotto l’amministrazione di Amara, perché sostengono di identificarsi etnicamente con gli Amara. Col passare dei giorni le proteste si sono estese e hanno cominciato a includere altri temi, come le violazioni dei diritti umani compiute dalle forze di sicurezza etiopi. Oggi le manifestazioni sono considerate per lo più dirette contro il governo federale, guidato dal Fronte di liberazione popolare dei Tigré (TPLF), la coalizione che alle ultime elezioni – insieme ad altri piccoli alleati – ha ottenuto tutti i seggi disponibili in Parlamento.

In teoria, all’interno del TPLF il potere politico dovrebbe essere egualmente diviso tra i quattro partiti che ne fanno parte e che si distinguono su base etnica. La componente che fa riferimento ai Tigrini – la comunità che abita prevalentemente la regione dei Tigrè – è riuscita però a ottenere sempre più influenza, nonostante rappresenti solo il 6 per cento della popolazione etiope: di fatto è arrivata a controllare il governo federale, provocando la reazione delle altre.

Oltre ai Welkait e agli Arama, da mesi stanno protestando anche gli Oromo, che abitano nella regione centro-meridionale dell’Oromia. Gli Oromo ce l’hanno con il governo federale perché ritengono di essere discriminati ed emarginati, nonostante siano la principale comunità etnica del paese. Le proteste degli Oromo iniziarono lo scorso novembre, quando si seppe dell’esistenza di un piano che prevedeva l’estensione della capitale Addis Abeba all’interno dell’Oromia. Diversi contadini Oromo protestarono contro il piano, perché temevano che ci potesse essere il pericolo di una confisca delle loro terre. Del piano poi non se ne fece niente, ma gli Oromo non smisero di manifestare, includendo nuove questioni come le violazioni dei diritti umani. Secondo Human Rights Watch, negli ultimi otto mesi sono stati uccisi più di 400 manifestanti Oromo che hanno preso parte alle proteste contro il governo.

Fonte: Il Post