venerdì 30 novembre 2012

Editoria, la crisi globale

L'americano Newsweek che ferma le rotative, dopo un'inesorabile parabola. La francese Libération che naviga in profondo rosso. La versione tedesca del Financial Times che annuncia chiusura totale. Per non parlare della Spagna, dove la crisi ha mandato a casa oltre 6 mila giornalisti.
UN VERO TSUNAMI GLOBALE. Il declino della carta stampata non è solo un affare italiano. O, per lo meno, non è solo affare dei Paesi Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), alle prese con la recessione economica. Piuttosto, la crisi dell'editoria è uno tsunami globale, che spazza via i vecchi modelli, anche dove, come in Germania o in Gran Bretagna, le vendite delle testate a rischio o in fase di smantellamento sono ancora di tutto rispetto e il prodotto, tutto sommato, è buono.
IL CALO DELLE INSERZIONI. Il problema è soprattutto il fatto che la pubblicità scarseggia. I lettori, complice la diffusione dell'informazione in mobilità - grazie a smartpone e tablet - e il calo degli stipendi, si informano sempre più su Internet. E il gioco, per gli investitori, sembra non valere più la candela.
Qualche anno fa, un decano del giornalismo come Philip Meyer - classe 1930 - parlò del 2043 come dell'anno in cui il New York Times avrebbe pubblicato la sua ultima copia cartacea. Di questo passo, la vendita nelle edicole di testate storiche come l'inglese Guardian o lo spagnolo El Pais potrebbe cessare molto prima. Altro che Padania, L'Unità o Il Riformista.

Spagna e Germania: giornali chiusi e redazioni smantellate

Oltre all'Italia, dove gruppi nazionali come il Corriere-Rcs e la Repubblica-Espresso o anche Mondadori e Il Sole 24Ore progettano tagli al personale e nuove ristrutturazioni per svariati milioni di euro e centinaia di dipendenti, la Caporetto dell'editoria è drammatica in Spagna. Dal 2008, 57 pubblicazioni iberiche sono state chiuse e più di 6.200 giornalisti hanno perso le loro scrivanie. Tra i licenziati, ci sono i 129 redattori del Pais, liquidati questo novembre via mail. Per far fronte al crollo delle vendite e della pubblicità, il quotidiano più diffuso del Paese ha annunciato la riduzione di un terzo dei dipendenti.
FREE PRESS SENZA PUBBLICITÀ. Poi c'è il dramma del Mundo, fardello di Rcs con 130 giornalisti licenziati nel giugno scorso e 20 milioni di pubblicità persi, nei primi sei mesi dell'anno. Senza contare, come in Italia, la chiusura di quotidiani d'opinione come Público o dei fogli free press come Qué e Metro. In Germania e in Svizzera dovrebbe andare meglio, con quote di lettori superiori al 70% della popolazione. E invece no.
LA SCELTA DOPO 12 ANNI DI DEBITI. Gruner + Jahr, editore della versione tedesca del Financial Times, ha annunciato l'ultimo numero del quotidiano economico, il 12 dicembre prossimo: dopo 12 anni di debiti, meglio metterci una pietra sopra, pagando 40 milioni di euro in liquidazioni ai circa 330 dipendenti, che non scriveranno più neanche pezzi per l'online.
GERMANIA, CHIUDONO I GIORNALI. Uno choc per i lettori che, solo pochi giorni prima, avevano ingoiato la notizia della resa della Frankfurter Rundschau, storica testata di sinistra in mano alla holding finanziaria dei socialdemocratici (Ddvg).
A novembre, la proprietà del quotidiano ha portato i registri in tribunale, per dichiarare l'insolvenza. Negli ultimi cinque anni, aveva perso tra i 15 e i 20 milioni di euro. Poi, l'annus horribilis del 2012, che, senza un nuovo acquirente, trascinerà in strada oltre 500 dipendenti.

Francia e Gran Bretagna: i travagli di Libération e del Guardian

In Germania, anche la Dapd, seconda agenzia di stampa tedesca, ha deciso il taglio di 100 posti di lavoro. Mentre, nella ricca Svizzera, con le perdite di copie, anche i quotidiani Les Temps e il Giornale del Popolo hanno avviato ristrutturazioni.
EVITATE LE CHIUSURE SELVAGGE. Sostenuta dagli aiuti di Stato più corposi d'Europa (circa 1,2 miliardi di euro l'anno), finora l'editoria francese ha arginato i tagli pesanti e le chiusure selvagge degli altri Paesi, nonostante le vendite siano in netto e progressivo calo dagli Anni 80, per una quota di lettori ormai assottigliata, come in Italia, attorno a un misero 46%.
Ma, in tempi di magra, come già in animo da Nicolas Sarkozy, il governo di François Hollande studia di rivedere i finanziamenti che apriranno altre crisi nelle redazioni, oltre a quella che, lo scorso febbraio, ha visto il quotidiano economico La Tribune, in cattive acque dal 2008, chiudere i battenti del cartaceo per traslocare solo online.
IL ROSSO DI LIBÉRATION. La cura da cavallo multimediale ha dimagrito il personale non giornalistico da 165 a 50 dipendenti e più che dimezzato i redattori da 78 a 31 assunti. In bilico, pronto a cadere, c'è Libération, vessillo della sinistra d'Oltralpe con vicissitudini simili all'italiana Unità.
In gravi difficoltà economiche dal 2006, il giornale sessantottino fondato da Jean-Paul Sartre è finito in mano al rampollo Edouard de Rothschild che, nonostante il piano di ristrutturazione, non ha risanato i conti.
Se Libération sparisse dalle edicole, l'addio sarebbe traumatico quasi quanto quello dell'inglese Guardian, dal 1821 storico simbolo dell'indipendenza della stampa liberal dai partiti politici. In affanno da anni e alla prese con profondi tagli del personale, a ottobre i rivali del Telegraph ne hanno addirittura annunciato l'«imminente chiusura dell'edizione cartacea».
IL GUARDIAN ARRANCA. «Niente di più falso», hanno ribattuto i proprietari, «i tempi non sono ancora maturi». Eppure, nonostante l'ottima qualità, dal 2008 al 2012 le copie vendute nelle edicole sono crollate da 380 mila a 210 mila, a fronte di utenti unici online balzati da 15 a 70 milioni.
Un cambio di rotta evidente quanto inarrestabile, confermato, in Gran Bretagna, dai venti di ristrutturazione che spirano nel gruppo del Daily Mirror. Senza citare il crollo dell'impero di Rupert Murdoch che, con gli scandali intercettazioni, un anno fa ha fermato le rotative del tabloid News of the World, dopo oltre un secolo e mezzo di avventure.
BYE BYE NEWSWEEK. Era il luglio 2011 e Newsweek, illustre magazine statunitense finito in panne, sembrava essersi risollevato con il promettente ingresso nella società del Daily Beast di Tina Brown. Tutti palliativi. A quasi 80 anni compiuti, l'ultima sua uscita cartacea è stata fissata per il 31 dicembre 2012.

Fonte: Lettera43

sabato 24 novembre 2012

L'ultima barzelletta di Silvio

Silvio Berlusconi: 'Ho un problema in famiglia, mio fratello si crede una gallina...Mio fratello va sempre dal medico perchè pensa di essere una gallina. Ho parlato con il dottore e lui mi ha consigliato di portarlo in clinica almeno per un mese. A quel punto, l'ho interrotto: 'Sì, capisco, ma poi come si fa con le uova?'.

Chiamate il 118

venerdì 23 novembre 2012

A. non si è suicidato, è morto di omofobia

Aveva 15 anni. E amava il rosa e lo smalto. Alcuni hanno 15 anni e la pelle nera. Altri hanno 15 anni e sono grassi. O, forse, hanno 15 anni e sono troppo magri. E hanno anche 15 anni e pochi soldi per vestire con la stessa uniforme firmata dei loro compagni. A 15 anni si è fragili. Anche a 40 ma a 15 molto di più, perché si e’ colmi dell’assenza di quegli strumenti che, col tempo, ci permettono meglio di trovare un equilibrio, meno precario, fra ciò che siamo e ciò che gli altri vedono.

Di A. gli altri vedevano solo uno smalto rosa. Nella loro ottusa cecità, quasi sempre ereditata da genitori ancora più ottusi o da contesti violenti da tifo squadrista da stadio, non vedevano altro. Siamo incapaci di accettare ciò che ha coraggio di sé. Ciò che sfrontatamente, vincendo paure che noi creiamo, ci si pone di fronte per ciò che è.

A. aveva 15 anni in un paese, che più di altri paesi ha un atteggiamento violento, discriminatorio, razzista e immorale nei confronti degli omosessuali. L’Italia, mentre altri paesi progrediscono piano piano, sul piano dei diritti civili, precipita verso un abisso sempre piu’ tenebroso.

A. non si è suicidato ma è stato ucciso. Questo ha scritto qualcuno su Facebook e questo è ciò che penso. 

A. è stato ucciso non solo da chi lo derideva e lo feriva, ogni giorno, colpendolo violentemente con oltraggiose volgarità.

A. è stato ucciso da ciascuno di noi. Da noi che ci voltiamo dall’altra parte. Da noi che non abbiamo il coraggio di dire che siamo omofobi, ma poi ridacchiamo se vediamo una “checca”. Da noi che non crediamo l’amore fra persone dello stesso sesso puro come l’amore è. Sempre. Senza distinguo. Da noi che non crediamo che un bambino orfano e senza amore possa stare meglio con due genitori dello stesso sesso, desiderosi solo di dargli tutto, di dargli la vita. Da noi che crediamo sia abbastanza non sputare addosso ai gay per sentirci in pace e moderni e con una mentalità aperta.

Noi tutti abbiamo ucciso A. E per tutto ciò che io, personalmente, non ho fatto, gli chiedo perdono. Solo perdono.

Fonte: il Fatto Quotidiano

giovedì 22 novembre 2012

Uruguay, il Presidente “povero” che fa notizia

L’onestà, quella vera, ormai fa sempre più notizia, rendendo straordinario ciò che dovrebbe esser ordinario. Ha fatto il giro del pianeta la storia di José Mujica, il Presidente dell’Uruguay che vive in maniera modesta a dispetto della sua carica politica, ottenuta nel 2009 ma che non ha influito sul suo stile di vita. In un mondo politico (non solo dentro i nostri confini, dove però il male è accentuato) pieno di scandali, corruzione e stipendi da capogiro colpisce la piccola fattoria alle porte di Montevideo dove Mujica vive con la moglie, raggiunta dalle telecamere della BBC World. Una casa senza pretese, tre trattori, due Maggiolini Volkswagen degli anni Ottanta, per un patrimonio, condiviso con la compagna di vita (senatrice), dichiarato in 200 mila dollari statunitensi.

Non che l’Uruguay paghi una miseria i propri rappresentanti, certo; semplicemente i circa 10 mila euro al mese che percepisce il Presidente li dona quasi totalmente in beneficenza o per aiutare gli indigenti dei villaggi attorno alla capitale, tenendo per sé poco più di 800 euro. Ma a chi lo definisce “povero” lui risponde con naturalezza: «Io non sono povero, ho tutto quello che mi serve, non ho bisogno di circondarmi di beni costosi, l’essere presidente non mi ha cambiato. Per me avere poco è sinonimo di libertà, di non essere schiavo delle cose e dedicarsi al lavoro e a fare quello che fa sentire bene, come stare in mezzo alla natura». Un predicatore del XXI secolo, che non usa social network né posta elettronica, e possiede un cellulare ormai da collezionismo. Niente scorta, nessuna auto blu, e il palazzo presidenziale reso dimora per i senzatetto. Roba dell’altro mondo.

Eppure Mujica, 77 anni, fa politica da decenni, da quando con il nome di battaglia “Pepe” militava nel Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros, formazione di estrema sinistra nata alla fine degli anni Sessanta e ispirata alla rivoluzione cubana. Per l’Uruguay i Settanta furono anni difficili, segnati anche da azioni di guerriglia dei Tupamaros, apertamente contro i governi in carica. Famose le rapine in banca seguite da distribuzione di cibo e soldi ai poveri di Montevideo. Arrestato e fuggito dal carcere più volte, Mujica passò complessivamente 14 anni in galera, molti dei quali in isolamento e subendo torture: «Quegli anni di solitudine mi hanno insegnato molto – ha dichiarato – sono stato sette anni senza poter leggere un libro, ho dovuto pensare e farmi forza per non impazzire». È già più comprensibile, allora, come al Presidente bastino due stanze e un orto da coltivare per essere sereno.

Libero nel 1985 dopo un’amnistia, Mujica ha continuato la carriera come deputato prima, e come ministro dell’Agricoltura poi. Eletto presidente tre anni fa con il 53 per cento dei voti, il capo di Stato uruguaiano sta facendo i conti con un’opposizione sempre più agguerrita, che gli contesta i mancati progressi nell’istruzione e nelle politiche sociali, nonostante il popolo di Uruguay si sia arricchito notevolmente negli ultimi anni. L’aumento vertiginoso dei beni di consumo nelle case cozza indubbiamente con lo stile di vita di Mujica, e i suoi detrattori lo fanno notare sempre più spesso. Ma i motivi di scontro riguardano anche i provvedimenti presi o pensati finora dal Presidente, come la legge che consente l’aborto fino alla dodicesima settimana o la proposta di legalizzare la cannabis e permetterne la produzione e la vendita.

Fonte: Diritto di critica

mercoledì 21 novembre 2012

Sigarette in cambio di sesso. Arrestato il cappellano di San Vittore

È stato arrestato per violenza sessuale e concussione nei confronti di sei detenuti il cappellano di San Vittore, don Alberto Barin. Lo ha comunicato con una nota il procuratore capo di Milano, Bruti Liberati. Il cappellano della casa circondariale di Milano, a quanto si apprende, chiedeva prestazioni sessuali ai sei carcerati, tutti extracomunitari, in cambio di piccoli favori ''come compenso per la fornitura di generi di conforto o per interessamento alla loro posizione carceraria''. Sigarette, uno spazzolino da denti, piccole somme di denaro per le spese, queste le merci scambiate. Il sacerdote, arrestato questa mattina nella sua abitazione di Milano dagli uomini della squadra mobile, è stato incastrato da quattro filmati.

L'inchiesta è partita lo scorso giugno in seguito a una denuncia di violenza di un detenuto. L'uomo, un africano, mentre riferiva della violenza subita da parte di un altro carcerato, ha rivelato di essere stato molestato anche da altre persone all'interno del carcere, e ha fatto il nome di don Barin.

Il cappellano avrebbe abusato dei detenuti toccandoli e con "atti sessuali repentini", come li definiscono gli inquirenti. Nei filmati si vede il prete ricevere le vittime nel suo ufficio di San Vittore, dove da un armadietto estraeva i beni di prima necessità dopo avere ottenuto i favori sessuali richiesti. I sei extracomunitari sono tutti dentro per reati di piccola entità, eccetto uno, l'unico a non avere ammesso le violenze, in carcere con l'accusa di omicidio.

Fonte: ilPunto

lunedì 19 novembre 2012

I cavalieri neri della Repubblica Italiana

Il Cavallierato di Gran Croce decorato di Cordone è la più alta onorificenza che la Repubblica italiana possa conferire per “ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione”. Ebbene forse in questi giorni avrete sentito che tale onorificenza era stata conferita nel 2010 anche ad Assad, dittatore siriano accusato di crimini di guerra. La notizia era uscita, sui media nazionali, nel luglio scorso, anche se personalmente avevo pubblicato la notizia, ripresa unicamente da Byo Blu, nel febbraio scorso.

La cosa mi dà lo spunto intanto per riflettere sullo stato dei nostri mezzi di informazione: un blogger riesce a scoprire una notizia così importante circa 5 mesi prima delle testate giornalistiche. Notizie sotto gli occhi di tutti, visto che l'elenco dei Cavalieri di Gran Croce sono on line. Così come la pagina Wikipedia di Assad. E pensare che contestualmente in Inghilterra era scoppiato un caso relativo proprio ad Assad, apparso in foto sorridente con Sting. Così ho scoperto la notizia. Semplicemente leggendo la pagina Wikipedia di Assad.

In secondo luogo una riflessione s'impone sui criteri con cui sono scelti i soggetti cui destinare tali onorificenze. Difatti, tra i premiati risultano: Mubarak, Tito, Karimov, Ceausescu e Mobutu. E di questi, tutti, tranne Mubarak, sono stati ricompensati quando era già evidente che tali benemerenze non solo non sussistevano, ma sussistevano seri motivi per fare pressioni diplomatiche per la rispettiva destituzione. Difatti tutti, tranne Mubarak processato solo recentemente e trent'anni dopo la concessione dell'onorificenza, avevano già compiuto gesti degni delle più feroci condanne.

Spero solo che adesso la revoca per indegnità spiani la strada e tiri la volata anche per gli altri dittatori insigniti di tale premio.

Alessandro Picarone

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sabato 17 novembre 2012

Election Day, il Colle: «La data è solo il 10 marzo»

Una nota del Quirinale riporta le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a seguito dell'incontro con i Presidenti del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Consiglio dei Ministri. Il Capo dello Stato ha richiamato l'auspicio da lui espresso in tempi recenti che si proceda verso «una costruttiva conclusione della legislatura ancora in corso, così da portare avanti la concreta attuazione degli indirizzi e dei provvedimenti definiti dal governo e approvati dal Parlamento».




LE ELEZIONI - Via libera di Giorgio Napolitano all'Election Day: la data potrà essere solo quella del 10 marzo, giorno in cui si svolgeranno anche le elezioni regionali in Lazio, Lombardia e Molise. L'"ok" del Presidente della Repubblica sarà concesso a due condizioni: l'approvazione della legge di stabilità e le modifiche all'attuale sistema di voto.

LE PRIORITÀ - Tra gli adempimenti prioritari e ineludibili nel corso delle prossime settimane ci sono l'approvazione finale in Parlamento della legge di stabilità e, quindi, quella della legge di bilancio per il 2013. Ribadita l'esigenza di regole più soddisfacenti per lo svolgimento della competizione politica e a garanzia della stabilità di governo (la Legge Elettorale) e le aspettative dei cittadini per un loro effettivo coinvolgimento nella scelta degli eletti in Parlamento, ma l'auspicio di Napolitano è che si arrivi a una «costruttiva conclusione»

Come si legge ancora nel testo il Capo dello Stato ha richiamato inoltre l'orientamento e l'impegno a concordare tale riforma che erano risultati già dagli incontri da lui tenuti alla fine dello scorso mese di gennaio con gli esponenti dei cinque partiti rappresentati in Parlamento.

Fonte: ilPunto

mercoledì 7 novembre 2012

Elezioni Usa, vince Obama


Barack Obama ha vinto le elezioni presidenziali americane battendo il repubblicano Mitt Romney. Sono da poco passate le cinque del mattino in Italia quando Obama twitta: "Altri quattro anni, grazie a tutti", manifestando la sua gioia per il risultato e ringraziando i suoi elettori. "Dovremo lavorare, insieme, anche con i repubblicani. Ma America, il meglio deve ancora venire”, invece, le sue prime parole a Chicago davanti ad una folla in festa. Obama è stato dunque riconfermato alla Casa Bianca.